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Economia
Coronavirus, Unione Italiana Food: "Anche l'alimentare soffre. Futuro incerto"

Coronavirus, Unione Italiana Food: "Anche l'alimentare soffre: futuro incerto per 6 aziende su 10. La fase 2 potrebbe durare dai  6 ai 12 mesi".

Hanno garantito l’accesso al cibo all’Italia in quarantena, facendo scelte responsabili e innovative per tenere aperte le fabbriche. Nonostante l'aumento di volumi per alcune categorie di prodotto, la crisi ha colpito molte aziende alimentari italiane: 6 imprese su 10 denunciano un calo di produzione e fatturato ed esprimono preoccupazione per gli effetti a lungo termine del blocco dell'economia. Per il futuro si punta sulla forza del Made in Italy, su innovazione e sui mercati esteri, auspicando il sostegno delle Istituzioni. Sono i risultati di una ricerca del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università Roma3 commissionato da Unione Italiana Food su un campione di circa 120 Aziende associate e fotografa l’impatto del Coronavirus sull’alimentare italiano.

Accanto all’Italia che ha combattuto in prima linea contro il Coronavirus (medici, infermieri, operatori sanitari, protezione civile…), un’altra fetta del Paese ha dato il suo contributo, tenendo aperte le fabbriche durante il lockdown. Parliamo dell’industria alimentare, chiamata all’enorme responsabilità di garantire a tutti accesso al cibo durante l’emergenza e che, al pari di altri comparti strategici del Made in Italy, non uscirà indenne da questa emergenza. Una ricerca del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università Roma3 commissionata da Unione Italiana Food descrive, per la prima volta, l’impatto del Coronavirus sull’alimentare italiano.

La ricerca, realizzata ad aprile, ha raccolto e analizzato i giudizi di circa 120 grandi, medie e piccole aziende alimentari aderenti a Unione Italiana Food, associazione di categoria che rappresenta 450 imprese di oltre 20 settori merceologici, che impiegano 65.000 persone e sviluppano un fatturato di oltre 36 miliardi di euro, di cui 12 miliardi di export. Parliamo di circa 800 brand presenti quotidianamente sulle nostre tavole e su quelle degli amanti del cibo italiano di tutto il mondo. Il campione intervistato racchiude grandi marchi e PMI radicate sul territorio, che rappresentano tanti simboli del Made in Italy: solo per citarne alcuni, caffè, pasta, cioccolato, gelati, prodotti da forno (e da ricorrenza, come Pandoro e Panettone), confetteria e chewing gum, surgelati, sottoli e sottaceti, salse, sughi e condimenti, minestre, confetture e miele, alimenti per la prima l’infanzia, integratori alimentari, ortofrutta fresca confezionata, nettari di frutta e ortaggi, tè, infusi e tisane, spezie ed erbe aromatiche. Un panorama eterogeneo che spazia dalla tradizione all’innovazione e che ha permesso alla ricerca di fotografare in modo realistico il settore l’alimentare.

“Questa emergenza ha fatto riscoprire a milioni di persone il valore dell’industria alimentare”, dichiara Marco Lavazza, presidente di Unione Italiana Food. “Dietro a tanti prodotti di uso quotidiano ci sono tradizione, investimenti in ricerca e sviluppo, manodopera specializzata, tecnologie e sistemi di logistica avanzati. Peculiarità date per scontate o dimenticate. Va elogiato il lavoro di tutte le aziende alimentari che nonostante le misure di confinamento hanno garantito a tutti l’accesso al cibo, hanno reso disponibili con continuità e in quantità sufficienti tutti i prodotti a cui siamo abituati, superando tutte le difficoltà e garantendo la sicurezza lungo tutte le filiere. Questo è stato possibile solo grazie al senso di responsabilità e al coraggio delle nostre persone, oltre alle aziende che hanno garantito da subito la sicurezza nei luoghi di lavoro dotandosi in tempi record dei dispositivi di protezione necessari, introducendo procedure mirate ad assicurare il distanziamento e ricorrendo allo smart working in tutti i casi possibili”.

La ricerca fornisce dati interessanti a questo proposito. Sette aziende su 10 (70,4%) hanno riscontrato variazioni nulle o marginali del tasso di assenteismo dei lavoratori durante l’emergenza. Un dato che sottolinea il senso di responsabilità degli addetti del comparto, ma anche il buon sistema di relazioni industriali comune a tutta l’industria alimentare. Per premiare questo impegno, 6 aziende su 10 hanno già previsto riconoscimenti e incentivi per il personale o si stanno attrezzando per farlo.

Dall’emergenza è risultato anche il legame stretto delle aziende alimentari con il territorio in cui operano e con le comunità locali. Un legame che non è mai venuto meno e che in questi giorni si è rafforzato ancora di più. Oltre alle donazioni dei grandi gruppi, sono tantissime le aziende alimentari che in questi giorni hanno assicurato contributi concreti alle strutture sanitarie e alle comunità locali.

PER 6 AZIENDE ALIMENTARI SU 10 IL CORONAVIRUS AVRÀ UN IMPATTO ELEVATO SUL FUTURO

Se hanno fatto notizia le immagini degli scaffali vuoti nei supermercati e i dati sulla crescita dei consumi alimentari domestici a marzo, soprattutto per alcune merceologie, oggi, a 60 giorni dall’inizio dell’emergenza, la ricerca offre uno spaccato più diversificato e in chiaroscuro.

“Purtroppo – prosegue Marco Lavazza, Presidente di Unione Italiana Food – la chiusura degli esercizi del settore Ho.Re.Ca. come mense, bar e ristoranti, ha inciso profondamente sulle opportunità di mercato delle aziende che utilizzano in modo esclusivo o prevalente quel canale di vendita. Gli aumenti registrati per alcune categorie merceologiche nella GDO non hanno compensato queste ingenti flessioni. Anche quanti hanno visto crescere fatturato e produzione, in molti casi hanno dovuto sostenere un aumento dei costi delle materie prime o della logistica che incide negativamente sull'andamento economico. Molte aziende quindi, soprattutto le più piccole, sono ora in seria difficoltà”.

Stando alla ricerca dell'Università di Roma3, il 59% delle aziende alimentari ha dichiarato di aver subito un calo della produzione rispetto ad una situazione di normalità. Con punte, per una azienda alimentare su 4, di almeno il 30%.

Circa il 60% delle imprese stima un calo del fatturato per il 2020, che, per quasi un intervistato su 4, sarà superiore al 20%. Per una percentuale analoga (il 61% del campione), il Covid-19 avrà un impatto “elevato” o “molto elevato” sul suo futuro. Solo il 7% degli intervistati ritiene che attraverserà la crisi senza conseguenze.

IL COVID-19 E LE AZIENDE DEL FOOD, TRA IMPATTO E STRATEGIE DI RESILIENZA

Aspetti finanziari (posizione creditizia e debitoria, cash flow), commercio estero, processi produttivi e logistica, marketing e innovazione di prodotto, approvvigionamenti di materie prime: per le imprese alimentari sono questi gli ambiti dove l’impatto del Covid-19 si è finora sentito di più. Guardando invece al futuro immediato, le preoccupazioni più urgenti riguardano soprattutto gli scambi con i mercati esteri (in entrata e in uscita), l’organizzazione del lavoro, la finanza e la gestione della rete vendita, tutte con valori superiori ai 3 punti in una scala di importanza da 1 a 5.

Per fronteggiare il Covid-19, 8 aziende alimentari su 10 (79%) hanno promosso lo smart working. E se un’azienda su 3 (33%) ha aumentato la produzione, molte di più (53%) l’hanno ridotta o hanno limitato il numero di referenze (33%).

Interrogati sugli effetti economici a medio e lungo termine del Covid-19 sul loro business, più della metà degli intervistati guarda al futuro con preoccupazione. Per il 42% del campione gli effetti saranno “prevalentemente negativi, anche se temporanei”, mentre per il 13% saranno “molto negativi e duraturi”.

E anche tra le aziende che hanno beneficiato dello scenario di un’Italia in quarantena (24,8%), quasi tutte sono convinte che l'impatto positivo sarà a breve termine e teme un calo futuro.

CIRCA UN ANNO PER TORNARE (FORSE) ALLA NORMALITÀ. PER LA RIPRESA SI PUNTA AI MERCATI ESTERI

Nell’Italia che guarda con ansia alla Fase 2, più di 6 aziende su 10 (64%) stimano in 6-12 mesi il tempo necessario per tornare alla normale operatività. Ma c’è anche un 6% convinto che non si tornerà mai più alla situazione precedente.

Conseguenza di uno scenario in continua evoluzione, più del 40% del campione afferma di non aver ancora chiaro quali misure adottare per il post Coronavirus. Mentre il 32% dichiara che per difendersi punterà soprattutto sulla riorganizzazione “smart” del lavoro. Coerenti con il DNA del Made in Italy alimentare, che da sempre fa dei prodotti ad alto valore di servizio il suo punto di forza circa 1 azienda su 4 conta di uscire dalla crisi puntando sull’innovazione di prodotto e di processo, o sull’export verso mercati strategici nella nuova geografia disegnata dal coronavirus.

Del resto, quasi 8 aziende su 10 (79%) si dichiara infatti fiducioso sulla tenuta della reputazione di marchi e prodotti italiani. Solo per il 15% la soluzione è nelle nuove strategie finanziarie.

LE PMI PIÙ “OTTIMISTE” DELLE GRANDI IMPRESE, TUTTE PUNTANO SULL’INNOVAZIONE

Analizzando la percezione sul post-Coronavirus in base alle dimensioni dell’azienda, dalla ricerca dell’Università Roma Tre emerge che i più ottimisti (17%) sono in gran parte PMI e pensano che gli effetti saranno recuperabili; gli altri (34%), perlopiù grandi aziende, prevedono che l’impatto prodotto dal virus sarà più persistente. Tutti e due i sottogruppi hanno già deciso che per ripartire investiranno sull’innovazione, sia di processo che di prodotto.

IL SOSTEGNO DELLE ISTITUZIONI PER RIPARTIRE

Su una cosa le imprese alimentari di Unione Italiana Food sono d’accordo: da questa crisi le aziende non usciranno solo con le loro forze. Interrogati sulle misure e gli ambiti di intervento utili a superare la crisi, quasi la metà del campione (44%) invoca un maggior supporto economico alle imprese, il 13% sgravi fiscali e l’11% chiede al Governo azioni per il rilancio dei consumi e il supporto alla filiera.

Foto Marco Lavazza presidente Unione Italiana Food Marco Lavazza presidente Unione Italiana Food
 
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