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Economia
Cuneo fiscale, mission possible 5S. Col taglio di un punto 106 euro in più

La finanziaria del 2020 “rappresenterà un sentiero stretto tra le clausole di salvaguardia e dati economici molto meno vigorosi rispetto al recente passato”, ammonisce Matteo Raminghi, Chief investment officer di Ubs Wm Italy, che suggerisce al governo italiano di “adottare un sano realismo e abbandonare piani di maggior deficit” per beneficiare “di tassi d’interesse più bassi e dare sollievo alla spesa pubblica e all’economia”. Oggi infatti Spagna e Portogallo pagano tra lo 0,2% e lo 0,3% sui loro titoli decennali, mentre l’Italia paga l’1,7%, “un differenziale che pesa sulla crescita e sul bilancio pubblico”.

Ma Lega e M5S continuano a sostenere la necessità di varare i rispettivi “provvedimenti bandiera”, la flat tax nel caso di Matteo Salvini, la riduzione del cuneo fiscale per Luigi Di Maio, che proprio oggi al tavolo coi sindacati convocato oggi a Palazzo Chigi ha ribadito di voler “entro fine anno” sia disinnescare l’aumento dell’Iva sia di “abbassare le tasse, concentrandoci sul taglio del cuneo fiscale”. Salvini ha abbozzato: un compromesso è possibile per ridurre la pressione fiscale e mettere qualche euro in più nelle tasche degli italiani che lavorano. Resta un problema: quanto costa il provvedimento? 

Se per la flat tax si è parlato di almeno 12-15 miliardi l’anno a regime, nel caso del cuneo fiscale dipenderà da quanto lo si vorrà ridurre ossia di quanti soldi si vorranno mettere nelle tasche dei lavoratori. Ma cos’è esattamente il cuneo fiscale? E’ la somma di imposte dirette e indirette e contributi assistenziali e previdenziali che pesano sul lavoro. Secondo l’Istat il cuneo fiscale e contributivo rappresentava a fine 2016 il 46% del costo del lavoro.  A fronte di un costo del lavoro che (dati a fine 2015) pesava in media 32 mila euro l’anno per lavoratore, la retribuzione netta era in media pari a 17.270 euro, gli altri 14.730 euro rappresentavano appunto il “cuneo”, ossia somme che le aziende pagano ma i lavoratori non intascano.

Un fiume di denaro: secondo uno studio del Centro studi di Unimpresa (l’associazione che rappresenta le micro, piccole e medie imprese italiane, da sempre favorevole ad una riduzione del cuneo fiscale) i soli contributi sociali (la voce più rilevante, a carico delle aziende, del “cuneo” rappresentando il 25,4% del costo del lavoro contro il 14% delle imposte dirette e il 6,6% dei  contributi sociali a carico dei lavoratori) sono arrivati a sfiorare nel 2018 un totale di 235 miliardi di euro di entrate per le casse dello stato. Cifra che si prevede aumenti a oltre 250 miliardi quest’anno ma che dovrebbe calare poi a poco più di 244 miliardi l’anno venturo (per poi risalire a 248 miliardi nel 2021 e a 253 miliardi nel 2022).

Come dire che ogni 1% di minori contributi sociali versati allo stato richiederebbe una copertura di circa 2,5 miliardi di euro l’anno. Considerato che in Italia esistono circa 23,4 milioni di lavoratori attivi, una simile sforbiciata metterebbe mediamente nelle tasche di ciascuno di loro poco più di 106 euro all’anno, ossia scarsi 9 euro al mese (cifra che rappresenterebbe un aumento della retribuzione netta dello 0,6% circa). 

Se si volesse avere un impatto meno che trascurabile, ad esempio tagliando del 4% il cuneo “rinunciando” a 10 miliardi di euro di entrate, si potrebbero invece ridare quasi 450 euro all’anno a lavoratore, ossia una quarantina di euro al mese (+2,4% in termini di retribuzione netta). I numeri potrebbero naturalmente variare ancora in base alla platea di lavoratori a cui il provvedimento venisse applicato: solo lavoratori dipendenti, solo lavoratori privati, solo lavoratori al di sotto di un certo reddito e così via.

Occorrerebbe naturalmente trovare adeguate coperture, essendo difficile pensare a ulteriori aumenti del deficit. Per il dimezzamento dell’Irap, “la tassa più odiata dalle imprese” (che genera circa 21 miliardi di euro all’anno di gettito), il programma elettorale di M5S parlava di un taglio dei “trasferimenti improduttivi”, da cui si sarebbero potuti ricavare 7 miliardi a regime in base allo studio Giovanazzi-Cottarelli e della “revisione” delle detrazioni fiscali su gasolio, accise ed altro. Ipotesi che potrebbero tornare utili per il taglio del cuneo fiscale. Oppure si potrebbe ricorrere all’abolizione del “bonus Renzi” da 80 euro al mese (che costa una decina di miliardi l’anno), già messi nel mirino da Salvini per la copertura della “flat tax”.

Da ultimo il ministro dell’Economia e finanze, Giovanni Tria, convinto che “l’imposizione fiscale vada riequilibrata riducendo la fiscalità diretta a favore delle imposte indirette”, ha suggerito che si potrebbe lasciar aumentare l’Iva in tutto (23 miliardi di maggior gettito) o in parte. Comunque sia, un compromesso dovrà essere trovato e Salvini ha già fatto capire di essere disposto a prenderlo in considerazione. Anche così il sentiero che porta all’approvazione della finanziaria 2020 appare davvero stretto e accidentato ed è possibile che le grandi manovre inizino già nei prossimi giorni.

L’obiettivo è infatti di poter presentare il prossimo 27 settembre una nota di aggiornamento del Def 2019 che già tenga conto dei nuovi provvedimenti, che il 15 ottobre dovranno poi essere sottoposti alla Commissione Ue, alla cui presidenza è stata designata Ursula von der Leyen (un “falco” fedelissimo di Angela Merkel). Il tutto prima di iniziare il cammino parlamentare, dal 20 ottobre, per arrivare al varo ufficiale della manovra entro fine anno e sperare di continuare a veder calare lo spread dei rendimenti sui titoli di stato.

Luca Spoldi

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