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Economia
Dopo Umberto e l'Avvocato, ora tocca a John e Andrea: Agnelli parenti serpenti
John Elkann e Andrea Agnelli

Dopo Umberto e l'Avvocato ora tocca a John e Andrea, scontri fraterni e manovre di potere nella dinastia Agnelli

Parenti serpenti. Chi vuol vivere e star sano, dai parenti stia lontano. Sono infinite le frasi e gli aforismi che raccontano il difficile rapporto in famiglia. E attenzione, nessuno fa eccezione. Anzi, più si sale di lignaggio e più si va incontro a sgarbi, offese, ripicche. Ne sanno qualcosa anche gli Agnelli che da mezzo secolo si danno battaglia prima in punta di penna, poi in modo sempre più marcato. Una dinastia che ha influenzato l’Italia, tanto da diventare ago della bilancia di tutta l’industria nostrana – prima di trasferirsi armi e bagagli altrove, ma questa è proprio un’altra storia – ma che ha avuto scontri anche accesi e immani tragedie. Soffermandosi solo agli ultimi decenni, è atavica la rivalità tra l’Avvocato Gianni Agnelli e suo fratello Umberto, entrambi uniti dalla tragedia della perdita di un figlio.

Giovannino (all’anagrafe Giovanni Alberto), figlio di Umberto, designato ad assurgere al trono di gran capo della Fiat, si arrese a un tumore allo stomaco che lo uccise a poco più di 30 anni. Edoardo, il figlio bistrattato dall’avvocato, incapace di reggere la pressione del cognome che portava, concluse la sua esistenza lanciandosi da un cavalcavia di un’autostrada. Nel mezzo un rapporto tra i due fratelli altalenante. L’Avvocato era istrionico, con la battuta pronta, amante delle belle donne e determinato a raggiungere i suoi obiettivi. Umberto, più giovane di 13 anni, subiva il fascino del fratello maggiore tanto da essere sempre rimasto un passo indietro. Loro fu la responsabilità di chiamare Carlo De Benedetti al timone della Fiat.

Eppure, a pagarne le conseguenze fu solo Umberto – coetaneo e amico di CDB – che, dopo la cacciata lampo dell’Ingegnere (il suo regno durò solo 100 giorni) non si rivolse mai più la parola con l’imprenditore. Mentre l’Avvocato, che pure fu correo nella cacciata di De Benedetti, continuò a intrattenere rapporti con l’Ingegnere come se niente fosse. Il minore dei fratelli Agnelli fu sempre schivo e incapace di accreditarsi sul proscenio. Tanto che a intestarsi il merito della famosa “marcia dei 40.000”, colletti bianchi contrari all’occupazione della Fiat, fu Cesare Romiti nonostante la regia sia stata di Umberto. Il quale provò solo una volta a farsi sentire: confidò in un’intervista a Giuseppe Turani che il futuro dell’Italia e della stessa Fiat passava esclusivamente per migliaia di licenziamenti e per una svalutazione della lira.

Umberto non fu neanche un grande politico, visto che entrò in rotta di collisione con il “puparo” Enrico Cuccia che impose – ottenendolo – che a guidare la Fiat non fosse un Agnelli, ma Cesare Romiti. Un brutto colpo per il fratello minore della casata che morì solo un anno e mezzo dopo il fratello, di cui era sempre stato devoto sostenitore. Nonostante tutto. La nuova generazione di Agnelli, quella di John, Lapo e Ginevra da una parte e di Andrea dall’altra ha però toccato un livello assai più acceso dello scontro. I figli di Alain Elkann sono in causa con la madre per una brutta storia di opere d’arte. E non si parla di qualche quadretto, ma di una collezione che potrebbe valere – secondo indiscrezioni - 213 milioni di euro. Un’enormità anche per una famiglia che, tramite la Exor, ha distribuito lo scorso anno 4,2 miliardi di dividendi agli azionisti. 

Non solo: il rapporto non esattamente idilliaco tra John e Andrea ha vissuto una progressiva escalation. Prima, quando il figlio di Umberto ha chiesto e ottenuto di diventare presidente della Juventus. Elkann non poteva essere a capo di ogni cosa e ha quindi dovuto cedere. Una scelta azzeccata, se si pensa che dal 2012 la Vecchia Signora ha vinto nove scudetti consecutivi, tutti sotto la presidenza di Andrea. Solo che nel frattempo è successo di tutto: prima il figlio di Umberto ha scelto di corteggiare Deniz Akalin, la moglie di un dirigente di primissimo piano come Francesco Calvo. Uno scivolone che John Elkann aveva stigmatizzato e che – si mormora – era costato due milioni alle casse della Juve.

Andrea Agnelli, infatti, aveva comunicato in modo piuttosto irrituale l’amore per Deniz Akalin. Durante una cena a quattro con Calvo e l’allora moglie del figlio di Umberto, Emma Winter, aveva candidamente ammesso che tra lui e la donna di origine turca c’era ben più di un semplice affetto. Un modo che aveva interrotto qualsiasi protocollo istituzionale. Agnelli e la Akalin erano poi convolati a nozze e hanno avuto due figli, non si è trattato della classica sbandata, ma certo John Elkann non aveva apprezzato. Ma è stato lo sport a determinare la caduta di Andrea.

L’allontanamento dell’allora amministratore delegato Giuseppe Marotta – artefice degli scudetti e delle due finali di Champions in tre anni – era stato mal digerito da Elkann. Anche perché la motivazione era stato l’acquisto di Cristiano Ronaldo per 105 milioni di euro, cui si erano sommati 30 milioni all’anno netti. Un’operazione da quasi 300 milioni che si era conclusa senza la vittoria della Champions e con la cessione dell’asso portoghese al Manchester United per un terzo della cifra per cui era stato acquistato. Un bagno di sangue che creò un buco nei conti della Juventus.

A questo si è aggiunto il procedimento sulle plusvalenze che è costato un anno di sospensione della squadra di Allegri da qualsiasi competizione in Europa. Un disastro che Elkann ha deciso di sistemare a modo suo: con il lanciafiamme. Addio a Maurizio Arrivabene come amministratore delegato. Addio ad Andrea Agnelli come presidente. Anno zero per il cda, azzerato quasi integralmente. Al via la nuova era fatta di giovani italiani e niente più spese pazze. Inizia il regno di Maurizio Scanavino, fedelissimo amministratore delegato di Gedi che presta la sua esperienza alla Juventus; e del commercialista Gianluca Ferrero come nuovo presidente.

Non basta. Con un blitz nei giorni scorsi John Elkann ha di fatto estromesso il cugino da qualsiasi attività anche nella cassaforte di famiglia. Un’opa lampo da 750 milioni di euro complessivi ha portato i diritti di voto della cassaforte Dicembre, che fa capo ai figli di Alain e Margherita, fino all’80% dei diritti di voto. Un dominio assoluto, con Andrea che ha ridotto la sua partecipazione al 9%. È la fine, o quasi, della famiglia Agnelli come l’abbiamo conosciuta. Sono gli Elkann a regnare. I quali hanno in John l’emulo dell’Avvocato. Ma poiché la storia si ripete, c’è un fratello più debole, quel Lapo che cerca disperatamente la sua collocazione nel mondo.

Ha ammesso di aver subito abusi da bambino. È stato trovato in strada esanime dopo un’overdose di cocaina. Ha vissuto il dissesto della sua attività imprenditoriale, Italia Independent. E continua, anche lui come il prozio, a vivere all’ombra di un fratello più ingombrante, più affermato, più “potente”. La famiglia che più di tutte ha attraversato il Novecento, che ha rappresentato il progressivo depauperamento del tessuto industriale italiano, dal boom degli anni ’50 allo “sboom” tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 fino alla fuga all’estero, rimane anche una tra le più tormentate.

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