Con l'euro in calo la crescita accelera. Su Affari l'analisi della Confindustria
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Quotazioni dell'euro in lieve rialzo: la moneta unica europea viene scambiata a 1,1650 contro il dollaro (1,1616 ieri sera dopo la chiusura di Wall street) e a 135,79 yen. Da martedì la moneta unica europea è scivolata sotto i minimi da nove anni nei confronti della valuta americana.
Ma quanto impatta sull'andamento dell'economia italiana un euro che viaggia a questi livelli? Secondo il Centro Studi della Confindustria contattato da Affaritaliani.it, che sabato diffonderà una nuova nota di aggiornamento sull'andamento delle principali variabili economiche nazionali, "l'indebolimento della moneta unica da 1,33 dollari nel 2014 a 1,16 nel 2015 e 2016, alza il Pil italiano dello 0,73% nel primo anno e di un ulteriore 0,63% nel secondo". Dote aggiuntiva che non deve sommarsi aritmeticamente però alla stima dello 0,5% di crescita del Pil, prevista dal team di esperti di Viale dell'Astronomia guidati da Luca Paolazzi, perché il dato elaborato nell'ultimo report di dicembre è stato formulato "sotto una serie di ipotesi sullo scenario internazionale, tra le quali un tasso di cambio in calo da 1,33 dollari per euro nel 2014 a 1,25 nella media dell'intero 2015". Però, aggiungono dal Csc, "se l'euro rimanesse stabilmente sotto questi valori, ad esempio intorno ai livelli attuali di 1,16 dollari, ciò tenderebbe a incrementare la crescita attesa dell'economia italiana".
Per gli analisti di Confindustria, i settori che stanno maggiormente incassando il dividendo dell'euro debole sono ovviamente quelli con una maggiore propensione all'export, perché "l'indebolimento del cambio accresce la loro competitività estera: si tratta dei prodotti farmaceutici, dei mezzi di trasporto, dei macchinari e apparecchiature. Il deprezzamento, comunque, favorisce in generale tutti i settori che producono beni commerciabili internazionalmente, compreso il turismo".
Questi i vantaggi. Ma c'è anche il rovescio della medaglia: molti beni intermedi, inclusi gli acquisti di materie prime, vengono acquistati dalle industrie nazionali all'estero, contribuendo ad aumentare l'inflazione importata o a erodere i margini delle imprese. Quindi, a che livello di cambio euro-dollaro una moneta unica debole si trasforma invece da opportunità a problema per l'economia italiana? Da Confindustria, però, non arriva alcun allarme in tal senso.
"Nel contesto attuale di prolungata debolezza economica e variazione annua dei prezzi al consumo vicina allo zero - dicono - anche un indebolimento ancor più forte del cambio non genererebbe problemi di inflazione e men che mai rialzi dei tassi ufficiali. Al contrario, la svalutazione oggi aiuta a sostenere la dinamica dei prezzi e ad arginare, quindi, il rischio di deflazione. L'indebolimento del cambio, comunque, sta mitigando in parte l'effetto espansivo del ribasso del petrolio, il cui prezzo tradotto in euro cade meno di quanto scenda la sua quotazione in dollari".