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Economia
Ex-Ilva e Alitalia: torna la voglia di Iri. Quel feeling fra M5S e la Cgil...

Scoppia una corrispondenza d’amorosi sensi tra la Cgil e il M5S? A giudicare dagli indizi sembrerebbe di sì, ma il costo per gli italiani tutti potrebbe rivelarsi elevato. Ilva, Alitalia, crisi dell’auto: i terreni dove gli allarmi lanciati dall’organizzazione sindacale guidata da Maurizio Landini trovano eco in soluzioni tratteggiate da esponenti del movimento di Beppe Grillo e Luigi Di Maio sembrano ogni giorno più numerosi. L’ultimo esempio è offerto dalle dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico (Mise), Stefano Patuanelli, subentrato a Di Maio nella ricerca di soluzioni che il capo politico di M5S non è stato in grado di trovare nei suoi 15 mesi di permanenza in carica al Mise.

arcelormittal Ilva
 

Patuanelli, che pare escludere il coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti nel caso dell’ex Ilva, giudicato “difficile per il suo statuto” (la difesa del risparmio postale, ndr), lascia aperta la possibilità di un intervento di Invitalia nel caso di un “eventuale ingresso dello stato”. Nel caso di Alitalia, tramontata al momento l’ipotesi di un’offerta da parte del consorzio che Ferrovie dello Stato avrebbero dovuto guidare dopo il passo indietro di Atlantia, per nulla tranquilla del destino delle concessioni autostradali, si fa strada l’ipotesi di un ennesimo commissariamento, ristrutturazione ed eventuale “spezzatino” dell’ex compagnia di bandiera, la cui taglia, ha sottolineato Patuanelli, “il mercato fa difficoltà ad accettare” essendo troppo piccola per essere considerata una major e troppo grande per essere assimilabile a una piccola aviolinea.

alitalia
 

Intendiamoci: Alitalia e l’ex Ilva hanno in comune l’essere da decenni altoforni di denaro pubblico senza che la classe politica italiana sia mai stata in grado di porre un limite alle perdite da addossare ai contribuenti italiani né trovare una qualsivoglia “soluzione di mercato” che stesse in piedi di suo e non somigliasse unicamente a un “do ut des”, ma tant’è. Patuanelli oggi non esclude un “ritorno all’Iri, se serve”, perché “in un momento in cui dobbiamo proteggere le nostre imprese e la nostra produzione industriale sì”, può anche servire che “torniamo a un sistema” di questo tipo.
 

Landini BA
 

Musica per le orecchie della Cgil, che accoglie “con favore le dichiarazioni del ministro Patuanelli”, sostenendo che “è innegabile che per ricostruire le politiche industriali, oggi in evidente crisi, serva istituire un'agenzia che, come l’Iri, possa rilanciare lo sviluppo del Paese”. La Cgil, ricorda una nota della segreteria nazionale, “sostiene da tempo, anche con la piattaforma unitaria” che serve “un coordinamento per lo sviluppo industriale in grado di definire le specializzazioni produttive, governare i processi di innovazione e attuare una strategia nazionale di sviluppo, con una visione unitaria e di medio periodo”. Serve “una nuova governance pubblica fondata sul riordino e il coordinamento degli attori istituzionali. Finora vuoti istituzionali e sguardo miope hanno troppo spesso trascurato le debolezze strutturali del nostro sistema delle imprese”.

Operai al lavoro repertorio
 

Una soluzione cui sembra guardare anche il presidente di Anfia, Paolo Scudieri, imprenditore napoletano patron di Adler-Hp Pelzer, gruppo internazionale che ormai fattura 1,5 miliardi l’anno ed è tra i principali fornitori di gruppi come Fca, Opel e Suzuki. Scudieri puntualizza: non cerchiamo aiuti ma “un progetto di reindustrializzazione e accompagnamento alla transizione tecnologica e produttiva necessaria” per i tanti pezzi dell’industria italiana “che dovranno cambiare pelle, reinventarsi, o anche solo trasformarsi, per poter continuare a esistere e dare lavoro a centinaia di migliaia di persone”.

Non una “bad bank”, dunque, come rischiano di creare, comunque le si chiami, gli interventi in Alitalia e nell’ex Ilva, quanto una “cabina di regia” unica che consenta di elaborare un piano per il rilancio del settore automotive italiano e che intanto sembra già aver indotto il governo, come ha confermato Giuseppe Conte, a rimodulare drasticamente la “plastic tax” perché, ha spiegato il premier, “ci siamo resi conto che una norma simile rischia di danneggiare il nostro sistema produttivo e, con molta umiltà, ci stiamo lavorando per rimodularla completamente fino a svuotarne l’effetto negativo su un comparto oggettivamente in difficoltà”.

C’è da sperare che gli auspici di sindacati e industriali colgano nel segno, perchè a pensare male potrebbe sembrare che anche il M5S, tanto più dopo le ultime delusioni elettorali, sia tentato dal ricorrere alla più classica delle spartizioni “all’italiana” per cercare di mettere tutti d’accordo: la socializzazione delle perdite a fronte di una privatizzazione dei profitti. Potrebbero del resto non esservi molte altre alternative se si vuole salvare una capacità industriale significativa ed evitare la definitiva “messicanizzazione” dell’economia italiana e dunque nessuno scandalo.

A patto di essere chiari sui costi di ogni soluzione, anche quella che comporterebbe il ritorno al modello Iri rivisto e aggiornato. Se andrà bene si tratterà di interventi “a tempo” che serviranno a ristrutturare aziende e settori in crisi, ossia separare gli asset sani da quelli strutturalmente in perdita, alleggerendo di costi (e personale) le aziende da ricollocare sul mercato, lasciando in mano pubblica organici e asset non appetibili per il mercato. Se invece prevalesse la logica della difesa ad ogni costo dei “posti di lavoro”, il costo per lo stato potrebbe lievitare ulteriormente. In entrambi i casi gli in bocca al lupo sembrano doverosi, in mancanza di una soluzione più convincente.

Luca Spoldi

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