Fca, regalino di Conte alla cassa: liquidità low cost per le nozze con Psa
Gli effetti del nuovo decreto del governo
Piazza Affari “benedice” il decreto Liquidità presentato ieri in diretta dal premier Giuseppe Conte e dai suoi ministri, ma già qualcuno leggendo tra le pieghe del provvedimento sospetta che a trarne beneficio concreto non saranno genericamente 60 milioni di contribuenti italiani, bensì un numero ristretto di “grandi imprese” che dai 200 miliardi di garanzie su prestiti che la Sace sarà autorizzata a emettere potranno trarre almeno due vantaggi: evitare il rischio di una stretta sul credito, fino a inizio anno impensabile ma ora tornata di scottante attualità, e godere di un risparmio consistente in termini di oneri finanziari.
Un colosso come Fiat Chrysler Automobiles, impegnato in una delicata operazione di fusione con la francese Psa, oggi balza all’insù di oltre 8 punti percentuali in borsa in vista della possibile riapertura degli impianti statunitensi dal 4 maggio (verosimilmente a capacità ridotta e comunque con circa 3 settimane di ritardo sulla data inizialmente stimata del 18 aprile), ma anche perché le misure annunciate da Conte, e che dovranno comunque ricevere il via libera della Commissione Ue per non essere considerati aiuti di stato, vanno nel senso di rafforzare la cassa proprio nel momento in cui Fca (come la stessa Psa) è impegnata ad aumentare le riserve di liquidità.
Fca pur avendo sede legale in Olanda gestisce vari impianti in Italia e pertanto dovrebbe poter avere accesso allo schema governativo destinato ad imprese colpite dalla pandemia (ed il settore automobilistico lo è certamente, avendo visto praticamente azzerarsi le vendite in tutto il mondo). Il gruppo si era già assicurato il mese scorso una linea di credito “ponte” da 3,5 miliardi di euro (Psa a sua volta una da 3 miliardi), con una scadenza iniziale di 12 mesi estendibile a 18 mesi, che si aggiunge a linee di credito preesistenti per 7,7 miliardi. Fca ha poi rinviato a fine giugno l’assemblea annuale che dovrà deliberare l’eventuale distribuzione del dividendo ordinario.
Un dividendo che vale 1,1 miliardi di euro in totale ma a cui i soci di Fca dovranno rinunciare se la società dovesse effettivamente chiedere di attivare le garanzie di Sace sui propri finanziamenti (nella misura del 70% rispetto alle somme erogate, dato che Fca fattura oltre 73 miliardi di euro) visto che nel Decreto Liquidità si prevede che le garanzie siano concesse, fino a fine anno, solo in cambio della rinuncia a distribuire dividendi nei 12 mesi successivi all’erogazione del finanziamento. Il che non dovrebbe comunque costituire un problema perché ancora il mese scorso Carlos Tavares, numero uno di Psa e futuro Ceo del nuovo gruppo, ha parlato di 12-15 mesi perché la fusione venga completata.
Basterebbe dunque far slittare dalla primavera-estate all’autunno-inverno del prossimo anno il completamento dell’integrazione perché tutto fili liscio. In ogni caso dato che nelle more della fusione era previsto che Fca distribuisse ai propri azionisti un dividendo speciale da 5,5 miliardi di euro, mentre ora lo scenario suggerisce di non distribuire un così rilevante ammontare di liquidità, che potrebbe tornare utile in questi mesi per sostenere i costi fissi durante lo stop di produzione e vendite, rinunciare in tutto o in parte al dividendo potrebbe rivelarsi un’opzione dolorosa ma necessaria.
Anche in questo caso l’eventuale (ma non ancora certa) richiesta di finanziamenti garantiti da Sace non costituirebbe un problema, sempre che Exor (28,98% del capitale di Fca, 42,11% dei diritti di voto) non preferisca dirottare sulla controllata parte della liquidità (9 miliardi di dollari) che Covea ha confermato essere pronta a girarle a seguito dell’acquisizione di Partner Re. Semmai il problema vero è che ogni mese di “lockdown” fa perdere alle due società secondo uno studio di Alix Partner circa 7 miliardi di euro di flussi di cassa complessivi e così Psa e Fca rischiano di ritrovarsi da qui a quando la crisi sarà alle spalle con qualcosa come 100 miliardi in meno di flussi di cassa.
Cifre ben oltre le possibilità della stessa Exor per far fronte alle quali occorrerebbe rivolgersi al mercato. Ma Moody’s ha già messo sotto revisione “con direzione incerta” il rating di Fca (al momento “Ba1”, ossia un gradino sotto il livello “investment grade”) ed eventuali tensioni sul fronte della liquidità potrebbero far scivolare il merito di credito e aumentare gli oneri finanziari per il gruppo (lo scorso anno pari a un miliardo di euro) in un anno particolarmente delicato, visto che dei 12,8 miliardi di indebitamento netto esistente a fine 2019 ben 4,8 miliardi di debiti (ed in particolare 2,3 miliardi verso le banche) verranno a scadere nel corso del 2020.
A maggior ragione i finanziamenti Sace, che dovrebbero avere tassi tra lo 0,2% e 0,5% annuo, con restituzione fino a 6 anni e inizio del rimborso non prima di 18-24 mesi dall’erogazione iniziale (contro lo 0,25% fisso pagato per il bond senior a 3 anni emesso lo scorso gennaio da Fca Bank). Insomma, una mano in un momento delicato potrebbe essere quanto mai benvenuta, tanto più se il sacrificio necessario (il rinvio o la cancellazione del dividendo) dovesse risultare, da qui a fine giugno, comunque inevitabile per il protrarsi della crisi causata dall’epidemia di coronavirus. Se ne saprà qualcosa di più, in particolare per quanto riguarda l’eventuale importo da richiedere, nelle prossime settimane, quando ai piani alti di Fca si saranno completate le stime dell’impatto della crisi e aggiornate le linee guida finanziarie, per ora sospese.
Luca Spoldi
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