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Economia
Gas, seduti su un tesoro da 150 mld: ma l'Italia preferisce comprare da altri

Gas, il tesoretto nei mari italiani: il Belpaese non produce dai suoi giacimenti, ma preferisce acquistare da altri  

Oltre 90 miliardi di metri cubi di metano in fondo al mare italiano. 120 miliardi, se si considerano le risorse potenziali di gas non ancora accertate. In questo momento sono lì, ad attendere che qualcuno ne faccia qualcosa. Di sicuro sono passati due anni e mezzo da quando è scattata la moratoria su permessi e concessioni in attesa del Pitesai. Ci sono impianti bloccati nell'Alto adriatico, dall'Emilia Romagna, per esempio al largo di Comacchio, alle Marche al largo di San Benedetto del Tronto e Alba Adriatica, sospensioni al largo della Puglia e forti potenzialità anche lungo le coste della Sicilia.

C'è per esempio il caso Argo-Cassiopea, a Gela. Qui Eni-Med in joint-venture con Edison puntava a investire fino a 1,8 miliardi per sfruttare il gas nel canale di Sicilia, attraversi 4 pozzi sottomarini collegati a una centrale di trattamento da realizzare all'interno del perimetro della raffineria di Gela.

Come scrive sul Messaggero Roberta Amoruso, ora il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, la mappa delle attività possibili, potrebbe essere arrivato al traguardo dell'ok degli enti locali. Ma nel frattempo gli investimenti delle imprese si sono quasi azzerati. Ci vorrebbero comunque anni per rimettere in moto la macchina. È come essere seduti su un tesoro che vale almeno 150 miliardi di euro, considerato il prezzo di un metro cubo di gas, ma lasciare che a trarne beneficio siano altri. La Croazia, per esempio, o l'Albania e la Grecia, che succhiano come possono e senza stop dagli stessi giacimenti in fondo al mare, ma lo fanno dalla loro “cannuccia”, dall'altro lato dell'Adriatico. 

Oggi di quei 120 miliardi di metri cubi, l'Italia ne produce soltanto 4. Ma ne consuma oltre 70. Il resto lo compra all'estero, dalla Russia, dal Qatar, dall'Algeria, dalla Norvegia e anche dagli Stati Uniti. Senza contare che trasportare tutto questo gas ha il suo impatto sull'ambiente. L'Italia potrebbe dunque produrre in casa al costo di 5 centesimi e anche rivenderne una parte e guadagnarci anche tanto. Invece è costretta ad acquistare al prezzo che decide il mercato. Ieri un metro cubo di gas è arrivato a sfiorare 140 centesimi (con massimi a 138). E quel che è peggio è che il metano ha trascinato con sé anche i prezzi dell'elettricità, ben oltre quota 300 per megawattora. 

E magari potrebbe arrivare anche l'ok della Germania al North Stream 2, il nuovo gasdotto che collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico, aggirando quindi l'Ucraina. Mancano i requisiti e permangono dubbi sulla sicurezza, dicono per ora da Berlino. Il premier Draghi ha però capito che non c'è tempo da perdere: va attuato un piano strutturale salva-bollette che metta al riparo l'Italia da una crisi energetica che può rivelarsi più lunga del previsto. L'Italia deve poter mettere mano ai suoi giacimenti di gas

La moratoria delle trivelle scattata a febbraio ha di fatto congelato circa 150 autorizzazioni: 73 permessi di ricerca già in vigore e altri 79 per i quali è pendente la richiesta. Più altre 5 richieste di prospezione, che nel gergo tecnico significa sempre esplorazione del sottosuolo, ma senza l'utilizzo di macchine per la perforazione

Eppure, che più di qualcosa stava cambiando si è capito già mesi fa, ad aprile, quando è arrivato il Via libera ambientale a 10 progetti per sfruttare i giacimenti nazionali di metano e petrolio nascosti nel sottosuolo emiliano (società petrolifere Po Valley e Siam) e sotto i fondali dell'Adriatico (Po Valley ed Eni) e del Canale di Sicilia (Eni). In tutto, i diversi progetti che hanno ottenuto l'assenso ambientale prevedono la perforazione di più di 20 nuovi pozzi. Il 2022 è destinato a essere l'anno della svolta. Perché spingere sull'estrazione del gas di casa è la strada che sono determinati a seguire il premier Draghi e il ministro Cingolani.

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