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Economia
Germania, Merkel scivola sulle banche. Deutsche-Commerz, Berlino trema

Se una fusione Deutsche Bank-Commerzbank è nell’aria da anni, solo di recente tutte o quasi le luci verdi paiono essersi accese, dopo che anche il fondo americano Cerberus (azionista della prima col 3% e della seconda con poco più del 5%) ha fatto cadere le sue perplessità su un’operazione che continua in verità a far storcere il naso a più di un analista. Tutto in discesa, dunque? Non proprio.

Se è vero che a benedire la fusione sarebbe proprio il governo tedesco, azionista di maggioranza relativa, col 15,6% del capitale, di Commerzbank e desideroso di uscire da una situazione di stallo che si trascina da troppi anni, ma è altrettanto vero che mentre gli industriali tedeschi plaudono all’ipotesi, che darebbe loro maggiore sicurezza in termini di futuri finanziamenti delle proprie aziende, i sindacati sono già sul piede di guerra visto che si parla con insistenza di 30 mila esuberi (uno dei motivi per cui il Cda di Deutsche Bank) avrebbe finora mostrato molta freddezza).

Deutsche Bank
 

Non solo: mentre all’interno del governo Merkel il ministro delle Finanze Olaf Scholz (Spd) è decisamente a favore della fusione, che potrebbe costare allo stato tedesco alcuni miliardi di euro nel caso, giudicato probabile, di un nuovo aumento di capitale post fusione per coprire i costi legati all’integrazione e al completamento della pulizia di bilancio (solo Deutsche Bank negli ultimi sei anni ne ha già portati a termine tre per complessivi 19,5 miliardi), i conservatori della bavarese Csu continuano a nicchiare sottolineando come l’operazione possa portare più rischi che benefici, e Verdi e i liberali del Fdp sono decisamente contrari temendo che l’operazione possa “diventare un fosso senza fondo per il bilancio dello stato”.

La vera ragione dietro l’improvvisa accelerazione sembrerebbe legata all’interesse più volte espresso da gruppi come Bnp Paribas o lo stesso Unicredit: Berlino vuole insomma assicurarsi che Commerzbank non finisca in mano a un gruppo estero per evitare di relegare a sua volta Deutsche Bank al ruolo di banca regionale. Uniti, infatti, i due gruppi creerebbero un colosso (dai piedi d’argilla) con 2 mila miliardi di asset, 845 miliardi di euro di depositi, oltre 2.500 filiali e oltre 141 mila addetti, anche se gli ultimi due numeri sarebbero destinati ad essere sforbiciati con decisione. Per fare un confronto, Bnp Paribas aveva a fine 2018 1.960 miliardi di asset e 767 miliardi di depositi, Unicredit contava meno di 832 miliardi di asset e meno di 479 miliardi di depositi.

bundestag ape
 

La debolezza dell’operazione nasce tuttavia dall’ancora precario stato di salute dei due istituti, nonostante i segnali positivi visti nel 2018: Deutsche Bank è tornata in utile, per 341 milioni, per la prima volta dal 2014, Commerzbank sembra più avanti nel “turnaround” avendo segnato un utile netto di 865 milioni rispetto ai 128 milioni del 2017. Il Cet1 della prima banca è pari al 13,6%, quello della seconda al 12,9%, anche se l’operazione potrebbe ricondurlo attorno al 13,7%; l’indebitamento complessivo, infine, ammonterebbe a 1.846 miliardi di euro post fusione. Anche in questo caso, a titolo di esempio, Bnp Paribas ha chiuso il 2018 con 7,526 miliardi di utile e un Cet1 stabile sull’11,8%, Unicredit con 3,9 miliardi di utile e un Cet1 risalito al 12,07%.

Insomma: se prevalessero le ragioni “industriali”, Deutsche Bank, come non si stanca di ripetere il Ceo Christian Sewing, dovrebbe prima completare il suo turnaround, dando semmai modo anche a Commerzbank di rafforzarsi ulteriormente. Se invece prevarrà la volontà politica di dar vita a un “campione nazionale” anche a costo di rimangiarsi l’intransigenza mostrata nei confronti delle banche italiane e di dover trovare un modo per aggirare quelle norme europee sul “bail in” che proprio Berlino aveva voluto più di ogni altro partner europeo la fusione sarà annunciata a breve, forse già entro maggio. Sullo sfondo restano per ora due ulteriori punti di incertezza: come sarà gestito il problema, che si trascina da anni, dell’elevata esposizione di Deutsche Bank ai derivati e quali potranno essere i rapporti con la Bce, vista la preferenza lasciata finora filtrare da Eurotower per una soluzione “di mercato”.

A pensar male si fa peccato, ma la vicenda Deutsche Bank-Commerzbank sembra legata a doppio filo a due partite che si giocheranno nei prossimi mesi e che potrebbero cambiare le regole del gioco in Eurolandia: l’esito delle elezioni europee di maggio e, di conseguenza, il successore di Mario Draghi ai vertici della stessa Bce dal prossimo novembre. Un eventuale indebolimento dei partiti di governo in Germania potrebbe far archiviare nuovamente il matrimonio Deutsche Bank-Commerzbank, per questo forse si cercherà di vararlo comunque, anche a costo di andare a scontrarsi contro gli eventuali paletti da parte di Antitrust Ue, Eba e Bce nel caso di un ruolo di arbitro-giocatore da parte del governo di Berlino.

     

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