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Economia
Coronavirus fa paura alle compagnie aeree: puntavano sull'Asia per crescere

Di Luca Spoldi

I casi conclamati di contagiati dall’infezione ai polmoni causati dal coronavirus continuano a salire (sfiorerebbero ormai i 6 mila) e con essi il numero dei morti (132 quelli finora accertati, ossia poco più del 2% dei contagiati) e il rischio che la psicosi scatenatasi ormai a livello mondiale finisca col ripercuotersi negativamente sull’andamento dell’economia cinese e mondiale.

Rivenditori di articoli di lusso, compagnie di viaggio e gestori di casinò sono stati fin da subito tra i titoli più colpiti dalle vendite sui listini di tutto il mondo in queste ultime settimane. Le maggiori linee aeree internazionali (con poche eccezioni tra cui Lufthansa e Alitalia) sono sotto i riflettori dopo che proprio Lufthansa, assieme a British Airways (16,6 miliardi di dollari dei 27,5 miliardi di giro d’affari registrati nel 2018 da International Consolidated Airlines, la holding cui fanno capo anche Iberia, Vueling e Aer Lingus), Lion Air e Seoul Air, hanno deciso di sospendere i loro voli da e per la Cina.

Altre compagnie come Finnair, Cathay Pacific e Jetstar Asia stanno a loro volta riducendo il numero dei voli, e l’elenco potrebbe crescere ulteriormente nei prossimi giorni in conseguenza del drastico calo di passeggeri. Un calo del traffico che va di pari passo coi “suggerimenti” dati da un crescente numero di paesi ai propri cittadini di evitare per qualche tempo ogni viaggio di piacere o d’affari in Cina, dove le autorità hanno intanto precluso l’accesso a Wuhan (centro con 11 milioni di residenti) e ad altre 16 città (con ulteriori 30 milioni di residenti) della provincia di Hubei fino a nuovo ordine per limitare il rischio di contagio.

Coronavirus: la situazione delle compagnie aeree americane

Delta, maggiore compagnia aerea al mondo con 47 miliardi di dollari di fatturato a fine 2019 davanti ad American Airlines (45,8 miliardi) e United Continental (43,3 miliardi), ha più volte smentito nei mesi passati di aver subito contraccolpi dal braccio di ferro commerciale tra Usa e Cina per quanto riguarda i suoi voli da e per la Cina, finora canalizzati attraverso l’alleanza con Korean Airlines, potrebbe risentire dei timori di un “contagio cinese”. Timori che già hanno contribuito a far perdere negli ultimi 5 giorni a Wall Street il 5% al titolo Delta Air Lines e l’11% a United Continental Holdings, mentre American Airlines, prevalentemente concentrata sul mercato domestico (da cui derivano tre quarti dei suoi ricavi annui) è riuscita a limitare i danni al minimo.

Del resto nel caso di Delta, che nel 2015 rilevò per 450 milioni di dollari il 3,55% di China Eastern Airlines (terza compagnia cinese dopo China Southern Airlines e Air China), il Ceo Ed Bastian si era detto “eccitato sulla possibilità” di sbarcare entro il 2020 nel nuovo aeroporto internazionale di Pechino, Daxing Airport, costato oltre 12 miliardi di dollari e destinato a diventare il maggior aeroporto al mondo una volta completato. Uno sbarco che come minimo rischia di essere rinviato, pesando sulla auspicata crescita del traffico e dei ricavi dall’Asia. In casa United Continental, per contro, si è già alle prese con alcuni problemi “asiatici” che l’epidemia di coronavirus rischia solo di peggiorare.

Il vettore dal 1985 è il principale operatore americano nella regione, dopo aver rilevato la Pan Am e il relativo network asiatico: 13 destinazioni in tutto, tra cui Pechino e Shanghai, valutate assieme ad altri beni tra cui 18 aeromobili a lungo raggio 1,8 miliardi di dollari a valori correnti. I disordini di Hong Kong hanno già indotto la società ad abbattere il valore delle rotte verso l’hub cinese di 296 milioni di dollari lo scorso anno, azzerandone il valore dell’avviamento finora iscritto a bilancio. Nel corso della recente presentazione dei risultati dell’esercizio appena concluso, il top management della compagnia non ha voluto indicare se attribuisce ancora un valore alle altre 12 destinazioni asiatiche servite o se anche il loro avviamento è stato completamente azzerato, ma un eventuale crollo del traffico da e per l’Asia potrebbe sciogliere il dubbio nel peggiore dei modi.

Coronavirus: la situazione delle compagnie aeree europee

Tornando in Europa, Air France-Klm (-5,25% sul listino di Parigi negli ultimi 5 giorni), che coi suoi 30,1 miliardi di dollari di fatturato atteso per l’intero 2019 è la sesta maggiore compagnia aerea al mondo ed è alleata di Delta e Alitalia nella SkyTeam Alliance, giusto lo scorso ottobre aveva annunciato in pompa magna di voler rafforzare l’alleanza con China Eastern Airlines e Virgin Atlantic per aumentare voli e rotte tra Cina ed Europa a partire dalla primavera di quest’anno, a partire almeno inizialmente dalla rotta Londra-Shanghai (e dai voli di collegamento tra Parigi e Amsterdam e la capitale inglese).

Un piano che potrebbe ora subire qualche contraccolpo, così come la prevista espansione in Cina di Emirates Airlines (settima maggiore linea aerea al mondo con 27,9 miliardi di dollari di fatturato nel 2019), che dopo un anno di transizione in cui il numero di passeggeri trasportati è calato di un milione fermandosi a 58 milioni, contava sui nuovi accordi di code-sharing siglati nei mesi scorsi, tra cui quello con China Southern Airlines, per tornare a crescere nel 2020, anche in Asia.

Apparentemente meno esposto al rischio Cina sembra il gruppo Lufthansa (-5% in borsa nelle ultime 5 sedute), cui fanno capo anche Swiss e Austrian Airlines, oltre alla low-cost Eurowings, nel 2018 quinto maggior vettore aereo al mondo con circa 39,4 miliardi di dollari di fatturato. Lufthansa, che oggi ha annunciato lo stop a ogni volo da e per la Cina proprio a causa dell’allerta legato al coronavirus, già dal 2018 aveva deciso di puntare su Monaco come hub d’accesso all’Asia, ma in questo caso le destinazioni cinesi (Singapore e Pechino) rappresentavano, e rappresenteranno nel prossimo futuro, solo una piccola parte dell’offerta.

Dal 31 marzo prossimo, ad esempio, sarà lanciato un nuovo collegamento Monaco-Bangalore (India), a fronte però di ben quatto nuovi collegamenti da e per gli Stati Uniti. Impatto prevedibilmente ridotto anche per Alitalia. Anche la compagnia aerea italiana (poco più di 3,4 miliardi di dollari di giro d’affari nel 2018, cifra in crescita dell’1,7% nell’esercizio da poco concluso) sta puntando sulla crescita del traffico a lungo raggio, che nel 2019 ha registrato secondo la compagnia un incoraggiante +5,3% rispetto al 2018 e addirittura un +14,7% rispetto al 2017, arrivando a sfiorare i 2,85 milioni di passeggeri trasportati sulla lunga distanza. Tuttavia, come ha confermato ad Affaritaliani.it il vettore, “Alitalia non opera voli da e per la Cina” e dunque non dovrebbe subire particolari contraccolpi dalla vicenda.

 

 

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