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Economia
Ismea, è il Made in Italy agroalimentare che traina l'economia del Mezzogiorno

Con un valore aggiunto di oltre 19 miliardi di euro, il settore agroalimentare del Mezzogiorno ha le carte in regola per rafforzare il suo ruolo strategico e rappresentare un fattore di traino economico per quest’area, puntando a un alto posizionamento in termini di qualità e al forte legame col territorio. È quanto emerge dal Rapporto sulla Competitività dell’Agroalimentare nel Mezzogiorno, realizzato dall’Ismea, in collaborazione con Fiere di Parma e Federalimentare, presentato presso l’Università degli studi di Salerno.

Lo studio evidenzia come i recenti mutamenti dello scenario globale abbiano sostenuto una crescita senza precedenti delle esportazioni del Made in Italy alimentare, grazie a una ritrovata coerenza del modello di specializzazione agroalimentare italiano con le tendenze della domanda mondiale, che ha spinto l’export agroalimentare del Sud a toccare la cifra di 7 miliardi di euro nel 2018.

Nonostante il consistente e duraturo impatto della crisi economica iniziata nel 2008, il permanere di un tessuto imprenditoriale caratterizzato da imprese medio-piccole e, più in generale, la conferma di alcuni storici limiti allo sviluppo economico, il settore agroalimentare del Mezzogiorno è cresciuto, nell’ultimo triennio, in termini di numero di imprese -344 mila quelle agricole e 34 mila quelle dell’industria alimentare- e di occupati, che si attestano a circa 668 mila unità, pari al 10% del totale occupati al Sud.

Anche il confronto con il Centro-Nord mette in evidenza come, nello stesso periodo, il fatturato dell’industria alimentare sia cresciuto più al Sud (+5,4%) che nel resto del Paese (+4,4%).

La specifica composizione settoriale, l’elevata incidenza delle medie imprese -che si sono rivelate quelle più dinamiche e in grado di adattarsi ai mutati scenari- oltre che il determinante contributo delle imprese di più recente costituzione, hanno consentito all’agroalimentare del Mezzogiorno di ottenere performance di tutto rispetto e, in taluni casi, superiori a quelle dei corrispondenti settori del Centro-Nord.

Performance positive hanno riguardato soprattutto alcune filiere come caffè, cioccolato e confetteria (+14%), prodotti da forno (+18%), olio (+21%); in generale, un rinnovamento generazionale e la presenza di imprese più giovani hanno determinato maggiore dinamicità e capacità di rispondere alle esigenze del mercato.

Tra gli elementi più critici del settore meridionale, soprattutto pensando alla necessità di agganciare il treno dell’innovazione, preoccupano i bassi livelli di immobilizzazioni nelle imprese e il fatto che esse prestino poca attenzione a quelle immateriali.

“Lo studio di Ismea descrive il sistema agroalimentare meridionale come una realtà in forte espansione”, sostiene Elda Ghiretti, Cibus and Food Global Coordinator, Fiere di Parma. “Un dato confermato anche dall’aumento della partecipazione delle aziende del Sud a Cibus, passata negli ultimi cinque anni dal 17% al 36%. Cibus è la fiera alimentare di riferimento all’estero e vede la partecipazione di migliaia di buyer internazionali. La cresciuta partecipazione delle imprese meridionali a Cibus ha contribuito -aggiunge- all’aumento dell’export dei prodotti agroalimentari del Meridione che nel 2018 aveva toccato la quota di 7 miliardi e 110 milioni di euro, con un aumento del 6,1% nel quadriennio 2015/2018. Un dinamismo sostenuto anche dalla creazione di nuove forme di aggregazione private, come consorzi e associazioni, che consentono anche ad imprese di medie dimensioni di interloquire con importatori e distributori esteri”.

Un trend positivo dunque quello dell’agroalimentare nel Mezzogiorno sia in termini occupazionali che in termini di fatturato e con grandi margini di crescita su diversi fronti.  “Uno su tutti, l’export”, commenta il direttore di Federalimentare, Nicola Calzolaro. “L’agroalimentare del Sud, infatti, è ancora molto orientato al mercato italiano e poco alle esportazioni che rappresentano meno del 20% di quelle totali del Paese. Una porzione davvero troppo piccola se si pensa alla potenzialità del nostro sud e all’importanza strategica dell’export per l’Italia. È necessario, dunque, l’impegno di tutti per farlo crescere e questo può avvenire attraverso l’innovazione, ma soprattutto attraverso un potenziamento della rete infrastrutturale senza la quale non si potranno mai sfruttare appieno le grandi possibilità dell’alimentare nel Mezzogiorno”.

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