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Economia
Immobili, Srm: in Italia oltre sei milioni di beni inutilizzati

L’Italia ha un patrimonio di oltre sei milioni di beni inutilizzati o sottoutilizzati. Significa più di due volte la città di Roma vuota, tra abitazioni (5 milioni) ed altri immobili pubblici, para-pubblici e privati, come ex stazioni ferroviarie e cantieri di opere non completate, negozi e capannoni industriali in disuso. Il loro riuso e la valorizzazione dei luoghi riguarda non solo le grandi città ma anche piccoli centri e non esiste in questo caso un “divario nazionale”: molte anche nel Sud Italia sono le aree dismesse spesso anche interne e non solo quelle metropolitane. Infatti ad esempio su 522 progetti presentati da associazioni, consorzi ed enti pubblici e privati a valere sull’ultimo Bando Culturability Fondazione Unipolis su altrettanti beni da riusare già disponibili, ben un terzo provengono da Puglia, Sicilia e Campania. Se le risorse finanziarie non mancano per dare nuova vita a questi luoghi, manca un quadro chiaro e completo degli aspetti normativi.

Ad indagare su questi elementi chiave per la comprensione del fenomeno sono Srm, il Centro studi legato ad Intesa Sanpaolo, e il Banco di Napoli che, partendo da un progetto concreto che riguarda l’Italia allargano lo sguardo dell’analisi indagando esempi di esperienze e di rigenerazione urbana a livello europeo. Secondo l’indagine, l’insieme delle aree “riutilizzabili” e rigenerabili” è molto ampio ed anche economicamente estremamente significativo.

Gli analisti delle due banche stimano infatti che il valore economico degli spazi pubblici e privati disponibili al riuso ed alla riqualificazione sia pari a oltre 430 miliardi. Attualmente su di una stima calcolata su circa 5mila aree già utilizzate, l’impatto economico e sociale è estremamente rilevante: 1 miliardo di euro di “fatturato” generato e 100mila persone occupate (suddivise tra operatori a tempo indeterminato, determinato e volontari). I nuovi ruoli che stanno assumendo gli agglomerati urbani negli scenari della globalizzazione richiedono pertanto modelli di riorganizzazione e riqualificazione in grado di considerare la necessità di integrare i vari aspetti in una visione strategica di politiche e progetti adatti alla vita di una comunità. In Italia si registra però un limite nel panorama normativo che dovrebbe supportare gli interventi di rigenerazione. Alcune leggi sostengono “solo parti” degli obiettivi della rigenerazione: da quelle sul recupero dei centri storici fino a quelle di sostegno alle ristrutturazioni degli immobili e all’efficienza energetica, norme di natura fiscale e norme regionali di natura urbanistica.

Ma non esiste nulla che le abbia “sintetizzate” con un approccio sistemico. In assenza di un quadro normativo nazionale complessivo di riferimento vanno dunque avanti iniziative locali ispirate alle migliori esperienze internazionali. Peraltro le risorse messe a disposizione a livello europeo e nazionale non mancano. Solo per citare i principali programmi a livello comunitario lo studio ricorda i programmi Urbact III e Urban Innovative Action che prevedono in totale oltre 640 milioni di euro per lo sviluppo in ambito urbano. Senza poi dimenticare le risorse che in Italia si rendono disponibili anche in altri strumenti come ad esempio: Il Pon Metro 2014-2020, il Programma straordinario per le periferie, le risorse messe a disposizione da fondazioni (per lo più di origine bancaria, ma non solo) nonché lo sviluppo delle fondazioni di comunità che nascono grazie a un network tra le principali reti sociali del territorio. E sempre in tema di risorse, si stanno diffondendo processi di incontro e condivisione, in forme diverse, con altri potenziali finanziatori, come il crowdfunding, in cui il cittadino può essere allo stesso momento destinatario e attore delle azioni di miglioramento urbano del proprio contesto di vita. L’indagine rileva infine che il volume di risorse generato in Italia dalle piattaforme di crowdfunding è in forte crescita: 56,8 milioni di euro raccolti, con un + 85% rispetto ai 30,6 milioni di euro dell’anno precedente. Il limite resta però la mancanza di un quadro normativo chiaro e complessivo.

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