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Economia
Italia e Francia sempre più vicine. Fca e Psa è solo l'ultimo tassello

I toni aggressivi, le polemiche sempre e comunque, le tensioni crescenti tra Italia e Francia sono storia di pochi mei fa, ma sembrano un passato distante dopo l’uscita dal governo di Matteo Salvini e della Lega e il rinsaldarsi ancor più dei rapporti economici tra i due paesi, come testimonia da ultimo la prevista integrazione tra Psa (Peugeot, Citroen, Opel Vauxhall e DS) e Fca (Fiat, Alfa Romeo, Maserati, Lancia, Chrysler, Jeep, Dodge e Ram).

Operazione che si va ad aggiungere a fusioni e acquisizioni già varate tra Beni Stabili e Foncière des Régions e Luxottica con Essilor, a quella in arrivo, dopo molti rinvii (da ultimo legati all’approfondimento d’indagine deciso dall’Antitrust Ue) tra Fincantieri e Chantiers de l’Atlantique (l’ex Stx France), ad una possibile integrazione tra Generali ed Axa che sembra piacere molto al patron di Luxor (e Beni Stabili), Leonardo del Vecchio, ma non alla Lega che teme il rischio di un indebolimento del sistema finanziario italiano e più in generale della capacità di sostenere il sistema imprenditoriale tricolore.

A favore di una maggiore integrazione economica tra Roma e Parigi giocano i fatti ancora prima che le suggestioni: la Francia è il secondo partner commerciale dell’Italia dopo la Germania. Nel 2018 l’export tricolore verso la Francia è stato pari a 48,69 miliardi (circa un quarto dell’export italiano in tutta l’area euro), a fronte di 36,94 miliardi di imporatazioni, con una bilancia commerciale che da anni si conferma positiva (negli ultimi sette anni abbiamo esportato in tutto 79,53 miliardi in più di quanto abbiamo importato dalla Francia).

Perchè allora anche l’annunciata fusione tra il gruppo Peugeot e Fiat Chrysler Automobiles sembra fare così paura? Perchè ogni operazione ha costi e benefici e il timore è che nonostante le dichiarazioni di non voler procedere ad alcuna chiusura di stabilimento, una parte delle sinergie previste possa derivare non già dalla sola razionalizzazione delle produzioni intesa come ottimizzazione, ma anche come eliminazione della capacità in eccesso, ossia dalla chiusura di impianti, magari a distanza di qualche anno dalla fusione.

Non a caso il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha già fatto sapere di voler chiedere a Fca “continuità sul piano industriale e gli investimenti e la produzione in Italia”. Prentandolo lo scorso anno Sergio Marchionne (che sarebbe scomparso di lì a poco) parlò di investimenti 2018 per 7,4-7,9 miliardi escludendo Magneti Marelli (poi ceduta), mentre per il quadriennio 2019-2022 erano previsti investimenti per quasi 45 miliardi di euro, 9 dei quali dedicati all’elettrificazione, con una previsione di 29 nuovi modelli destinati ad essere lanciati sul mercato.

Ma se il numero di occupati Fca secondo una ricerca Fim-Cisl è rimasto stabile in Italia tra il 2004 e il 2018 a circa 80 mila, nonostante una crisi che ha dimezzato la produzione auto italiana dal 2008 ad oggi, dei 30 miliardi di investimenti previsti nel piano 2010-2015 di cui 20 in Italia secondo il progetto “Fabrica Italia” lanciato da Sergio Marchionne se ne sono visti solo una frazione. Il rischio è così che quando Carlos Tavares dovrà scegliere su quali impianti investire, ad esempio per le nuove produzioni per le motorizzazioni elettriche (in cui Fca è in ritardo), non guardi all’Italia.

Arrivato ai vertici del gruppo Psa nel 2014, il 61enne manager portoghese fu dal 2011 al 2013 il numero di di Carlos Ghosn in Renault, prima di dare le dimissioni per poi passare l’anno dopo alla rivale Psa. Stella polare della sua gestione sono state la differenziazione dei modelli e dei marchi (cosa che sarà fondamentale pre un gruppo che parte con ben undici marchi e una gamma declinata in decine di modelli di autoveicoli e veicoli commerciali leggeri), il taglio dei costi fissi e degli apparati burocratici azienadli e il contemporaneo incremento dei prezzi di vendita dei veicoli, così da assicurare una profittabilità in tutti i mercati in cui Psa è presente.

Il che ha voluto dire ridurre il costo del personale, anche di vertice, in relazione al fatturato: quest’ultimo è passato per le sole attività auto da poco più di 36,4 miliardi di euro a fine 2013 a oltre 61,3 miliardi alla fine del 2018 (di cui oltre 18,3 miliardi legati a Opel Vauxhall), mentre i costi operativi sono saliti da 44,4 a 59,2 miliardi. L’utile operativo ricorrente è così balzato da 779 milioni a oltre 5,71 miliardi. Per riuscirci Tavares ha rivoltato come un calzino Opel Vauxhall, tenendo a bada i sindacati tedeschi, per raggiungere il punto di pareggio sciogliendo i legami con l’ex proprietà (General Motors) e lanciando nuovi modelli basati su piattaforme Peugeot.

Visto che, come hanno confermato anche i primi nove mesi dell’anno, Fca riesce a ottenere un risultato operativo (Ebit) positivo solo in Nord America (2,02 miliardi generati dall’area Nafta), pareggiando in America Latina (150 milioni di utile) e perdendo in tutte le altre aree geografiche e divisioni, Tavares avrà gioco facile a spingere gli investimenti sulle piattaforme e motorizzazioni (soprattutto elettriche) già sviluppate in Francia, più che su nuovi modelli italiani, salvo forse per i veicoli di alto di gamma per Alfa Romeo e Maserati.

Il che basta a giustificare i timori che politica e sindacati continuano ad esprimere verso un’operzione che il mercato per il momento legge come estremamente positiva per gli azionisti del gruppo italiano, tanto da aver già attuato un riequilibrio tra i due futuri partner facendo calare di oltre 2 miliardi la capitalizzazione di mercato di Psa e aumentando di quasi 3,5 miliardi quella di Fca, allineandosi di fatto alla valutazione “paritaria” del futuro gruppo Psa-Fca anche senza considerare le sinergie attese e per ora prendendo per buona l’ipotesi, che alcuni analisti trovano azzardata, di un outlook 2020 stabile per tutti i principali mercati dell’auto in cui è presente Fca.

Ipotesi che si coniuga con l’attesa di un incremento dell’utile operativo a 7 miliardi di euro grazie in particolare alle vendite in Nord America (Jeep Gladiator e fine destocking) ed Asia oltre che allaa Maserati (nuovi modelli in arrivo). Sempre che, come temono molti politici e sindacalisti, Tavares non finisca col privilegiare il taglio dei costi in Italia e lo sviluppo di nuovi investimenti in Francia.
 

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