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Economia
L'economia del mare? Dimenticata... L'inspiegabile disinteresse del governo

Tra i dimenticati dal Governo nel nuovo decreto Rilancio brilla un settore che per tradizione, posizione geografica e impatto sul Pil nazionale, dovrebbe invece rappresentare un pilastro dell'economia italiana.  L’economia del mare rappresenta, infatti, oltre il due per cento del Pil. Ma da tempo viene spesso dimenticata da Governo ed istituzioni, come lamentano spesso gli operatori del settore. Come evidenziato dagli illustri partecipanti al webmeeting organizzato dalla Fondazione Farefuturo Lunedi 25 Maggio, in occasione della presentazione online del Rapporto sullo sviluppo della “Blue economy” nel Mediterraneo che riproduce gli atti del meeting organizzato dalla Fondazione a Bari in occasione della Fiera del Levante dello scorso anno, insieme con la Regione, Delloite legal e Polis Avvocati.

Al meeting che si è svolto sulla piattaforma zoom hanno partecipato i principali protagonisti della “blu economy” italiana che si sono ritrovati sulla necessità di istituire un Ministero del mare, come propone il disegno di legge presentato al Senato dal presidente della Fondazione Adolfo Urso, responsabile del Dipartimento Impresa di Fratelli d’Italia. Il settore marittimo è fondamentale per l’economia globale dato che quasi la totalità degli scambi commerciali avviene via mare (circa il 90%). In particolare, il nostro Paese dipende fortemente dalla libera fruizione del mare in quanto l’economia italiana è essenzialmente di trasformazione. Di fatto, l’Italia importa via mare quasi l’85% del suo fabbisogno di materie prime ed esporta il 55% dei prodotti finiti. Altrettanto cruciale è l’import di risorse energetiche: l’80% del petrolio e il 42% di gas che raggiunge le città italiane viaggia via mare. Tali dati esemplificano una condizione che vede l’economia italiana basarsi sulle dinamiche securitarie che hanno luogo, non solo lungo gli 8 mila km di costa che bagnano la penisola, ma anche in quello che viene definito “Mediterraneo Allargato”, concetto che allarga la tradizionale area del Mare Nostrum al Mar Rosso, Mar Arabico e Golfo di Guinea. Il valore dei beni o servizi prodotti dalle attività marittime, il cui insieme è definito dal termine di cluster marittimo, è di 33 miliardi di euro, pari al 2 per cento del Prodotto interno lordo complessivo e al 3,5 per cento della sua componente non statale, con una occupazione complessiva di 470mila addetti, tra diretti e indiretti. Due terzi di tale valore (22 miliardi di euro) è legato al trasporto marittimo (12 miliardi di euro sono prodotti dalla navigazione). Insomma stiamo parlando di numeri di tutto rispetto, che non comprendono tutto l'indotto, come per esempio quello creato dalla canntieristica navale o dalla crocieristica, che sono stati praticamente azzerati da questa grave pandemia.

La Costa Crociere, per esempio, nel 2019 ha impattato per circa 3 miliardi di euro ( sui 48 mondiale del settore) sul Pil italiano, impiegando fra diretto ed indiretto 17000 persone, e ora chiede giustamente per bocca del suo direttore generale Neil Palomba al governo di far ripartire il settore, per evitare ricadute pesanti sul piano occupazionale. Il settore cantieristico poi che, dopo una lunga crisi, sembrava finalmente poter ritornare a vedere la luce, dopo la pandemia potrebbe rischiare di nuovo di affondare, come evidenziato da un recente studio effettuato dalla Camera di Commercio di Massa-Carrara. Secondo lo studio, il settore della navalmeccanica è costituito da poco più di 1200 imprese attivi che danno lavoro ad oltre 18 mila addetti diretti, che producono a loro volta un moltiplicatore di economia indiretta e indotta in circa 90 mila occupati.Si tratta di un settore rappresentato da imprese ad altissimo contenuto tecnologico, basti pensare che sol 328 società di capitali hanno prodotto nel 2018 un valore di produzione di quasi 5,2 miliardi di euro, per una media ad impresa di circa 16 milioni. Considerando l’intero panorama imprenditoriale del settore, si conta che le 1.200 imprese riescano a produrre un valore di produzione di 14 miliardi di euro e un valore aggiunto di 3,6 miliardi, che considerato anche l’indotto, comprensivo dell’effetto turismo, fa si che il comparto contribuisce all’1% del Pil nazionale. Senza contare la questione dei porti nodali, che da sempre rappresentano un tallone di Achille della nostra economia, come denunciato proprio al webinair dal presidente della Regione siciliana Musumeci, quando sostiene come il fatto che la Sicilia non sia dotata di un hub portuale, determina una naturale esclusione della Regione e del nostro paese dai grandi traffici marittimi, generando un danno economico rilevante.

Settore questo che pare anch'esso dimenticato dal nuovo decreto rilancio come denunciato in un comunicato del 12 Maggio scorso dall'Assamartori, presieduta da Stefano Messina, armatore del gruppo Messina, principale linea navale del paese. “Il Governo ha deciso di salvare il trasporto aereo e affondare quello marittimo, assumendosi una grave responsabilità in un Paese al centro del Mediterraneo, dove un sesto della popolazione vive su isole e il 90% della produzione di merci dipende dal trasporto marittimo per l’approvvigionamento delle materie prime o per la distribuzione del prodotto finito”. La situazione del comparto italiano legato alla economia del mare, insomma, che stava dando in ogni camppo vividi segnali di ripresa, è stato investito come un urugano dalla pandemia, e la totale mancanza di comprensione e di interesse, come denunciato da tutti gli operatori del settori da parte del Governo appare davvero sempre più inspiegabile.

vcaccioppoli@gmail.com

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