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Economia
Libia: come far soldi con la guerra. Metalli preziosi, Etf, fondi bilanciati

E’ possibile cercare se non di approfittare almeno di evitare contraccolpi negativi ai propri investimenti derivanti dalla crisi in cui si dibatte la Libia? Col paese sempre più invischiata in una guerra civile e i servizi segreti che lanciano l’allarme sul possibile massiccio arrivo in Italia di profughi tra i quali potrebbero provare a infiltrarsi i terroristi dell’Isis, il premier Giuseppe Conte (dettosi “molto preoccupato” per “una crisi umanitaria che può esporre anche al rischio di qualche foreign fighters sul nostro territorio e sul suolo europeo”) cerca di fare sponda col Qatar per sostenere il governo di Al-Sarraj.

La situazione non pare tuttavia destinata a risolversi facilmente né in tempi brevi, complice l’appoggio offerto al generale Khalifa Haftar, rivale di Al-Sarraj, da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Francia (nonostante le smentite di rito) e il sostanziale disinteresse di Donald Trump per la vicenda. In questo scenario molti analisti prevedono che le esportazioni petrolifere libiche siano destinate a flettere nuovamente, proprio mentre gli Stati Uniti stanno valutando di rafforzare le sanzioni contro Venezuela e Iran. Per evitare di strozzare il mercato, l’Opec, sotto pressione dell’Arabia Saudita, potrebbe non estendere ulteriormente i tagli alla produzione che scadranno a giugno e così sembra intenzionata a fare la Russia di Vladimir Putin.

Ma la soglia individuata per far scattare il “libero tutti” è di 80 o più dollari al barile, mentre al momento il Wti texano oscilla sui 63,7 dollari e il Brent del Mare del nord oscilla attorno a 71,3 dollari: vi sarebbe dunque spazio per un ulteriore rialzo del 25% circa, più che sufficiente per consigliare di puntare su titoli petroliferi come Eni, Saipem o Teneris o direttamente su prodotti indicizzati come l’Etc Boost Brent Oil o Boost Wti Oil, piuttosto che sul Etfs Brent Crude o Etfs Wti Crude Oil per capitalizzare eventuali movimenti al rialzo delle quotazioni petrolifere.

Un’altra opzione è lasciar fare a gestori professionali sottoscrivendo quote di fondi dedicati all’energia o alle risorse naturali come ad esempio Global Natural Resources Equity di T. Rowe Price, i cui gestori peraltro non sembrano credere troppo a un rialzo strutturale delle quotazioni dell’oro nero e si attendono anzi che a lungo termine possano ridiscendere tra i 40 e i 50 dollari al barile, anche in risposta a quanto l’innovazione tecnologica continuerà a migliorare la produttività delle attività di estrazione dello shale oil americano, la cui produzione è destinata a crescere nel tempo calmierando eventuali ulteriori tagli dei paesi Opec.

Sebbene circa il 43% della produzione petrolifera globale faccia capo all’Opec, gli Usa, notano gli uomini di T. Rowe Price, hanno contribuito per oltre il 61% all’incremento dell’offerta globale tra il 2008 e il 2017 (per circa il 70% nel solo 2018). A fronte di un simile scenario è evidente che gli investitori più prudenti farebbero bene a diversificare ulteriormente anche tra titoli e asset class difensive, ad esempio puntando sui metalli preziosi come l’oro e, ancor più, il palladio (che ormai dal 2012 vive una situazione di sottoproduzione).

Secondo Jp Morgan, ad esempio, il mutato atteggiamento della Federal Reserve sui tassi sosterrà le quotazioni dei metalli preziosi anche nei prossimi mesi consentendo nuovi rialzi dei prezzi. Anche per i metalli preziosi come per il petrolio le opzioni a disposizione degli investitori sono molte, con ben 22 Etf quotati sulla borsa italiana dedicati ad essi: un interesse che appare più che giustificato dal fatto che oro, argento e platino sono in assoluto i tra asset più decorrelati verso tutti gli altri e per questo in grado di approfittare di situazioni di incertezza dei mercati azionari, obbligazionari e dei cambi (petrolio e metalli preziosi avendo quotazioni espresse in dollari tendono a salire quando come in queste settimane il biglietto verde si indebolisce).

Naturalmente un portafoglio difensivo non ha ragione d’essere se non comprende anche una parte obbligazionaria, che visto il livello ancora modesto dei rendimenti offerti in rapporto al rischio anche da parte dei titoli di stato e obbligazioni corporate italiane potrebbe essere composto per una parte preponderante da Cct a tasso variabile, per la parte residuale da Btp di scadenza non superiore ai 10 anni. Ultima ma non meno interessante alternativa, demandare anche la ripartizione dell’investimento tra le diverse asset class, ossia la asset allocation, a un gestore professionale ad esempio sottoscrivendo uno o più fondi bilanciati.

Secondo un’analisi di Advice Only si potrebbe ad esempio costruire un portafoglio di soli quattro Etf, per il 50% azionari e per il 50% obbligazionari. I quattro prodotti in questione potrebbero essere l’Amundi Idx Jpm Gbi Global Govies (35% del capitale investito), il Db X-Tracker Equity Quality Fctr (35%), l’Ishares Core Msci Emerging Markets Imi (15%) e l’Ishares Global Corporate Bond (15%). Un portafoglio che gli esperti di Advice Only definiscono “pigro” ma che potrebbe consentirvi di dormire sonni tranquilli anche in caso di ulteriore escalation militare in Libia, per di più ad un costo estremamente contenuto, lo 0,217% annuo, alla portata anche di chi da investire ha solo poche migliaia di euro risparmiate faticosamente.

 

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