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Economia
Mediobanca verso il patto light, ipotesi che piace al top management

Mediobanca chiude l'ultima seduta di una settimana negativa (-6%) con un recupero di poco superiore a quello degli indici Piazza Affari, complici le indiscrezioni circa il possibile varo, già a inizio dicembre di un patto di consultazione "light" che sostituisca il patto di sindacato in scadenza a fine anno dopo le disdette annunciate dal gruppo Bolloré (7,86% del capitale) e Italmobiliare (0,98% del capitale) che hanno fatto calare al 19,63% la percentuale di capitale vincolata al patto e dunque sotto il 25% minimo previsto dallo statuto.

"La mia idea di questo patto di consultazione sembra che sia piaciuta a molti, poi vedremo quando ci incontreremo. In assemblea potremo verificarlo. Dovremmo incontrarci credo il 5 dicembre", ha confermato Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum, che al patto finora apportava il 3,28% tramite il gruppo Mediolanum più uno 0,21% in proprio. Secondo indiscrezioni di stampa anche Unicredit, primo socio del patto con uno 8,41% del capitale, sarebbe orientato ad aderire alla proposta, così come dovrebbero fare i Benetton (2,1%), Fininvest (0,97%), il cui amministratore delegato, Danilo Pellegrino, ha già fatto sapere di essere aperta "a tutte le ipotesi", e la famiglia Lucchini (0,38%).

In tutto sinora il patto "light", che potrebbe durare un paio d'anni  ossia sino alla scadenza dell'attuale Cda, raggrupperebbe poco più del 15%, dunque circa 4 punti e mezzo in mano di ciò che resta del patto di sindacato, ma la possibilità che al nuovo patto possano aderire altri azionisti con quote significative sembra per ora poco consistente. Tra gli altri azionisti italiani sono al momento presenti nel capitale il gruppo Gavio (0,66%), i Ferrero (0,65%), i Pecci (0,46%), gli Angelini (0,45%) ed altri soci con partecipazioni tra lo 0,10% e lo 0,22% a testa per circa un altro mezzo punto percentuale di capitale, ma come detto non sembra essere ancora emersa una chiara disponibilità ad apportare i propri titoli al nuovo patto.

Un patto "light" che piace certamente ad Alberto Nagel e al top management di Piazzetta Cuccia, perché di fatto accelerala la trasformazione della merchant bank milanese in una public company (che è già de facto, visto la presenza di investitori istituzionali nel capitale per una quota attorno al 47%), ma anche agli azionisti principali, Unicredit in testa, perché consente di non dover cedere i titoli (che la banca guidata da Jean-Pierre Mustier classifica in bilancio come partecipazione finanziaria) alle quotazioni attuali.

Il prezzo di carico dei titoli è infatti pari a circa 10,2 euro per azione, ossia un 28% circa sopra i livelli attuali. Vendere ora imporrebbe a Mustier di iscrivere a bilancio una minusvalenza di oltre 150 milioni, ma anche vedere gli altri azionisti sfilarsi e cedere sul mercato i propri titoli rischierebbe di vedere quotazioni ulteriormente depresse per diversi mesi se il flusso di titoli in vendita si rivelasse consistente. Meglio dunque cercare di congelare la situazione attuale dando tempo al management di creare valore per gli azionisti, ad esempio vendendo il 3% di Generali e reinvestendo il ricavato in nuovi business, cosa che date le attuali condizioni dei mercati richiederà tempo.

Del resto con un dividend yield che lo scorso anno è stato pari al 2,81% e quest'anno dovrebbe risalire di circa un punto attorno al 3,8%, Nagel sta già remunerando i suoi azionisti più di un titolo di stato decennale italiano (3,41% il rendimento offerto stasera), senza che i soci debbano incrementare la loro esposizione al rischio Italia, cosa in questo momento doppiamente importante per una banca come Unicredit che proprio per ridurlo al massimo starebbe valutando di separare le attività italiane da quelle estere.

 

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