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Economia
Parmigiano, a Lactalis ora fa gola. Le mire francesi dalla moda al food

Che il settore alimentare e bevande sia, con la moda-lusso e la meccanica di precisione, l’asse portante del “made in Italy che ancora è in grado di vincere sui mercati di tutto il mondo è noto. Che il Parmigiano Reggiano sia tra i più noti prodotti di eccellenza della nostra filiera agroalimentare anche. 

Parmalat Lactalis ape
 

Non stupisce dunque che l’interesse dei maggiori fondi di private equity mondiali si sia subito manifestato quando il fondo britannico Charterhouse ha iniziato a sondare il mercato per la cessione del controllo (eventualmente anche del 100%) di Nuova Castelli, principale esportatore di Parmigiano Reggiano rilevato dagli inglesi nel 2014 con un giro d’affari di 460 milioni di euro ma con la necessità di ricevere una cinquantina milioni di euro di capitali freschi per riequilibrare la struttura finanziaria (il debito ha raggiunto i 190 milioni, di cui un centinaio garantiti da forme di formaggio) e continuare a crescere.

A differenza che in casi precedenti in cui è totalmente mancato una risposta “di sistema”, primi tra tutti Galbani e Parmalat (entrambe le aziende sono finite ai francesi di Lactalis tra il 2006 e il 2011), in questo caso a valutare l’acquisto sono anche nomi italiani come Italmobiliare, holding d’investimento della famiglia Pesenti che in ambito alimentare ha già rilevato il 60% di Caffè Borbone, piuttosto che QuattroR, Sgr nata a fine 2016 attorno a un primo investimento da 700 milioni guidato da Cassa depositi e prestiti (a cui parteciparono anche Inail, Inarcassa e Cassa Forense) allo scopo di investire in Pmi italiane in difficoltà ma con prospettive di rilancio sostenibile.

lavoro granarolo
 

Fin qui i soggetti operanti nell’ambito del private equity. Ma se le crisi finanziarie di questi ultimi due decenni hanno insegnato qualcosa è che non basta una banca o un intermediario finanziario per garantire il futuro di un’azienda: serve un partner industriale. Nel caso di Nuova Castelli potrebbe essere Granarolo, sempre più “campione nazionale” in continua crescita sui mercati internazionali ed unico, probabilmente, in grado di contrastare un’ulteriore avanzata del gruppo che fa capo ad André Besnier (Lactalis, appunto) che di recente avrebbe manifestato a Rothschild, advisor incaricato da Charterhouse di valutare le alternative strategiche della controllata italiana.

giampiero calzolari presidente coop granarolo bologna
 

Besnier con Galbani e Parmalat è già ora leader del settore lattiero-caseario italiano con una quota pari a circa un terzo del mercato (secondo per importanza al solo mercato francese) e un giro d’affari complessivo di oltre 1,2 miliardi. Da parte sua Granarolo, anche grazie all’acquisizione della britannica Midland Food Group, lo scorso anno ha visto il fatturato consolidato salire a 1,3 miliardi, per il 68% realizzato in Italia dove è il secondo player di marca con una quota del 15% circa. La sfida è quindi impegnativa ma non impossibile, sempre che il sistema finanziario italiano sia pronto a sostenere Granarolo.

L’alternativa sarebbe quella di veder finire sotto controllo di un soggetto estero un altro “gioiello di famiglia”. Un destino toccato nel settore olio ai marchi Bertolli, Carapelli e Sasso, ceduti tra il 2004 e il 2008 alla spagnola Doleo per 835 milioni di euro complessivi. Doleo, che aveva rilevato anche l’olio Dante poi riacquistato dal gruppo italiano Mataluni per 34 milioni, non ha poi saputo evitare la crisi che ha portato alla concessione della cassa integrazione in deroga proprio a Carapelli, il cui storico stabilimento di Inveruno è infine stato affittato a Tor (gruppo The Organic Factory) nel 2017 dopo aver corso il rischio di una chiusura definitiva.

(Segue...)

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