Ma la pensione è ancora un diritto?
Di Piero Righetti
In un periodo come questo, caratterizzato da una crisi che sembra non debba più finire, da tasse particolarmente pesanti e con scadenze ed importi incerti e confusi, lascia veramente sgomenti questa serie continua di ladrerie ed imbrogli che la magistratura svela con cadenza quasi quotidiana.
La giornata di mercoledì è stata caratterizzata fondamentalmente da due notizie: un tasso di disoccupazione, generale e giovanile, da record assoluto e lo scandalo del Mose in cui si parla di stipendi "paralleli" di milioni di euro l'anno.
Fino a 10/15 anni fa chi aveva lavorato per un'intera vita aveva almeno la certezza di poter calcolare anche con anni di anticipo il momento in cui avrebbe maturato il diritto alla pensione. Fino ad allora infatti il nostro sistema pensionistico, con l'eccezione forse delle sole baby-pensioni, veniva considerato dagli esperti italiani e stranieri come uno dei più validi ed avanzati del mondo occidentale.
Ma improvvisamente tutto è cambiato, soprattutto negli ultimi 2/3 anni. Nessuno tra quelli che lavorano oggi può dire con certezza quando potrà andare in pensione.
Una cascata improvvisa di leggi e di decreti ha in pratica istituito un sistema pensionistico "ad personam", con requisiti cioè e condizioni diversi da individuo a individuo e molte volte determinati da provvedimenti improvvisati ed assurdi.
L'art. 38 della Costituzione dichiara solamente che "...i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia...".
Queste parole significano, tra l'altro, che tutte le persone che hanno lavorato hanno il diritto di ottenere, al termine della propria vita lavorativa, una pensione il cui importo e la cui decorrenza siano certi e determinabili. Ma attualmente anche questa disposizione costituzionale sembra essersi trasformata da vero e proprio diritto, costituzionalmente garantito ed azionabile, a semplice enunciazione programmatica. Ripeto, fino ad alcuni anni fa chi era vicino alla pensione poteva fare programmi ed assumere impegni per la propria vita futura. Ma via via le certezze sono venute meno: all'inizio con il blocco temporaneo dell'adeguamento delle pensioni all'aumento del costo della vita e poi con la Riforma pensionistica Monti/Fornero che si è abbattuta sulla vita di centinaia di migliaia di persone, non più giovani, come un vero e proprio tsunami.
Dalla sera alla mattina per tutte queste persone il traguardo della pensione si è improvvisamente allontanato di anni, senza alcun preavviso e senza più certezze.
Lo sanno bene i tanti esodati che sono rimasti a lungo (e molti lo sono ancora) senza lavoro e senza pensione.
La cosa che più ha lasciato sgomenti è stata l'assoluta impreparazione e la totale superficialità di cui hanno dato prova i cosiddetti "tecnici", persone cioè chiamate ad assumere decisioni, particolarmente importanti, non per la loro appartenenza politica ma per la loro collaudata capacità professionale.
La riforma delle pensioni voluta dal Ministro Fornero (chi non ricorda le sue lacrime di "profonda commozione e sincera partecipazione") è stata caratterizzata, oltre che dall'improvviso e pluriennale aumento dell'età pensionabile e dei correlati requisiti contributivi, da una serie di disposizioni attuative che, per come sono state formulate (per ignoranza, per volontà cieca di ridurre le spese, per superficialità o per eccessiva fretta?), hanno determinato una serie continua di dubbi interpretativi ed applicativi alcuni dei quali non sono stati ancora risolti.
Basterà ricordare le vergognose discussioni sul vero numero degli esodati (solo 120/130.000 per il Ministero del Lavoro e più di 300.000 per l'Inps), un balletto di cifre e di contraddizioni sulla pelle di tutti coloro che ci si sono trovati in mezzo e che a distanza di anni non è stato ancora risolto.
Fino ad oggi sono stati emanati - ma solo parzialmente attuati a causa anche del loro particolare tecnicismo interpretativo - 5 provvedimenti "di salvaguardia degli esodati" che hanno riguardato complessivamente 162.130 lavoratori che hanno titolo ad ottenere la pensione con i requisiti preesistenti alla Riforma Fornero. Dovremmo quindi essere arrivati a metà percorso: secondo Inps e Ragioneria Generale dello Stato, infatti, gli esodati dovrebbero essere in tutto circa 300.000, metà dei quali quindi vive ancora una situazione di assoluta incertezza.
Per il prossimo 23 giugno è previsto l'inizio, da parte della Camera dei Deputati, dell'esame di una proposta di legge che dovrebbe risolvere in via definitiva questo gravissimo problema, umano ed economico. Ma l'approvazione definitiva di questo provvedimento sembra già da ora tutt'altro che facile.
Secondo le stime Inps, infatti, il costo di questa proposta di legge sarebbe di più di 47 miliardi nell'arco di 12 anni e la Ragioneria Generale dello Stato ha già espresso parere negativo sulla copertura di questi oneri, basata su aumenti delle entrate legate a giochi pubblici online e lotterie istantanee, una copertura finanziaria definita "inadeguata nelle dimensioni e inidonea nelle modalità".
Ma queste non sono le sole incertezze che caratterizzano l'attuale quadro pensionistico in Italia. Mentre non è ancora risolto il problema degli esodati infatti, si rincorrono di continuo dichiarazioni, a dir poco contraddittorie, di alcuni ministri del Governo Renzi. Di fronte a un tasso di disoccupazione giovanile sempre più drammatico, ormai avviato verso il 50%, il Ministro Poletti - e, prima di lui, Giovannini - cerca di rilanciare la cosiddetta staffetta generazionale e cioè l'assunzione di un giovane al posto di un lavoratore ormai vicino alla pensione consentendogli (lo prevede la Riforma Fornero) un anticipo fino a 4 anni.
In realtà questo strumento generazionale non è stato inventato dalla legge Fornero ma è stato introdotto in Italia dalla legge n. 863 del 1984 recependo disposizioni allora vigenti in Francia. Di questa possibilità hanno però fruito finora solo 4/5 aziende, forse per mancanza di validi incentivi e per l'assoluto disinteresse delle parti sociali, datoriali e sindacali.
Poletti ha anche accennato che si sta lavorando ad un possibile anticipo di 12/18 mesi dell'età pensionabile degli over 60 che rimangono senza lavoro.
Attualmente esistono norme che consentono il pensionamento anticipato dei dipendenti di regioni e enti locali dichiarati in soprannumero e il Ministro Madia non nasconde l'intenzione di prevedere numerosi prepensionamenti nella Pubblica amministrazione all'interno della riforma generale che il 13 giugno dovrebbe essere esaminata dal Consiglio dei Ministro. E' infine di ieri la proposta di ridurre di 5 anni l'età pensionabile dei magistrati.
Di contro Padoan, Ministro dell'Economia, ha recentemente dichiarato al Festival Economico di Trento di non essere "a favore di una diminuzione dell'età pensionabile, casomai sarei a favore di un suo graduale aumento" per concludere poi di non prevedere "nessun intervento in questo senso perché l'età pensionabile è già indicizzata alle aspettative di vita".
Grosse contraddizioni dunque e mentre in Germania è partita la proposta di ridurre l'età pensionabile a 63 anni, sarebbe veramente auspicabile che, qui in Italia, si riuscisse finalmente a fare un po' più di chiarezza in questo settore.
Quello della certezza dell'età pensionabile è un problema veramente fondamentale per una nazione caratterizzata da una disoccupazione sempre più alta e da un'aspettativa di vita (82 anni) inferiore soltanto, nel mondo, a quella del Giappone (82 e 6 mesi) e in cui, secondo il rapporto Istat 2013, ogni 100 giovani con meno di 15 anni ci sono 148 persone con più di 65 anni di età.