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Economia
Petrolio verso il rialzo. Saipem e Trevi incrociano le dita

di Bud Fox

“Se vedessi Milano piena di pale eoliche e pannelli solari, o se si scoprisse il petrolio a Berlino, forse comincerei a preoccuparmi” Con onestà ammette “sei mesi fa non avrei mai suggerito di comprare petrolio”. Questo è quanto dichiarava Jim Rogers nell’autunno del 2007, probabilmente obnubilato da quella marea di denaro che spingeva sull’oro nero, ebro, come capita in ogni bolla speculativa, da tutte quelle notizie vere o presunte sul “peak oil” la fine sempre più vicina, l’esaurimento anche dei pozzi più generosi, della materia prima più desiderata dall’economia mondiale che fu, anche lui scivolò sulla chiazza d'olio e ci rimase invischiato.

Da sempre le guerre in Medio Oriente hanno avuto come reazione scatenante primaria il rialzo dei prezzi del petrolio, e per anni, il rialzo dei prezzi di questa materia prima è stato una grande arma di ricatto verso i paesi occidentali. Ma più allarmante ancora, la notizia più temuta da entrambe le parti, sia dai produttori che dai consumatori, era quella sul conto alla rovescia prima dell’esaurimento, sul tramonto del petrolio, il fatidico Peak Oil (il picco) per molti era già superato, avevamo scavallato, il tempo correva e si doveva fare in fretta per trovare una fonte energetica alternativa per continuare a mandare avanti il mondo, il petrolio rimasto, le ultime gocce, sarebbero costate anche più dell’Oro.

A queste paure, o desideri, a seconda delle parti in cause, cadde anche Jim Rogers, che sulla spinta di queste insinuazioni iniziò cavalcare quella che stava diventando la nuova bolla speculativa.

Jim Rogers non è un investitore qualunque, dotato di grande abilità, ma soprattutto grande esperienza, negli anni ’70 insieme a Soros fondò il primo fondo speculativo al mondo e nel 1998 creò il fondo RICI, uno dei principali indicatori di riferimento per il mercato delle materie prime. Nonostante questo pedigree di indubbio valore, anche lui cadde nel trappolone.

E non fu l’unico, su quell’ondata speculativa del petrolio, ci furono analisti che prima salirono in cielo come spinti dalla propulsione del getto di un pozzo petrolifero, e poi altrettanto velocemente vennero inghiottiti, soffocati dalle proprie stesse previsioni, che da geniali, nel giro di pochi mesi si trasformarono in fallimentari.

Uno di questi Arijun Murti, analista di punta, guru, di Goldman Sachs, che prima si fece conoscere con una straordinaria previsione sul petrolio a 100$, e successivamente, una volta raggiunto l’Olimpo, rilanciò con un’altra strabiliante a 200$. Della serie, lascia o raddoppia, lo stesso obiettivo che fu indicato da Jim Rogers.

Per entrambi, fu prima un’illusione, accarezzarono il divino, e poi ricevettero dal mercato uno schiaffo sonoro.

Il Petrolio tra Luglio e Agosto del 2008 raggiunse il picco di prezzo a 146$, un prezzo definito da molti inspiegabile, in quanto eravamo già sull’orlo di una recessione mondiale, una crisi di borsa ormai conclamata e come mazzata finale, Trichet l’allora presidente della Bce, decise di alzare i tassi d’interesse. In pratica, smontò le posizioni speculative sul petrolio, ma al tempo stesso, invece di aspettare che il treno della recessione ci venisse addosso, decise di andargli incontro.

Fu un crollo devastante, il petrolio in poche settimane precipitò da quel massimo fino a 30$, una caduta dei prezzi che cancellò, come un colpo di spugna, tutte le paure sull’esaurimento del petrolio, anzi, da quei momenti in poi, non solo il petrolio non mancava, ma era divenuto addirittura abbondante.

Sono passati quasi dieci anni da quell’episodio storico, e nell’economia mondiale sono successe molte cose. Una su tutte: il petrolio non si è esaurito come studiosi e speculatori, o forse, studiosi speculatori, temevano; secondo, un evento storico, gli Stati Uniti, da grande consumatore di petrolio, sono diventati, grazie al fenomeno del fracking (estrazione di petrolio con fratturazione idraulica), un Paese esportatore, dunque non più ricattabile e totalmente autosufficiente, indipendente da qualsiasi oscillazione; terzo, oltre al petrolio, oggi come fonte energetica si sono aggiunte molte altre protagoniste, eolico e solare solo per citarne alcune, che con il tempo stanno assumendo maggiore importanza come “carburante” dell’economia mondiale.

Del petrolio, in questi anni, non si è più sentito parlare come attore protagonista dell’economia, non più un’arma ricattatoria, non più una discriminante per l’evoluzione dei prezzi al consumo, e non più un giudice capace di determinare l’andamento delle borse mondiali. Un petrolio finito in letargo, nulla è stato più capace di risvegliarlo, nemmeno gli inesauribili conflitti in Medio Oriente, nemmeno i tragici attentati, nemmeno le dure prese di posizione di Putin, nemmeno le bizzarrie di Erdogan, e nemmeno, come è sembrato in questi ultimi giorni, le continue scaramucce tra l’Iran e i suoi alleati, e gli Usa di Trump. O forse sì?

Con l’Iran la questione sembra più delicata, non solo perché negli ultimi anni il paese è tornato ad innaffiare il mercato con la sua robusta produzione contribuendo ulteriormente a calmierare i prezzi, ma perché un eventuale ritiro, per rottura sulla questione nucleare, non solo porterebbe a una riduzione di almeno 1 milione di barili al giorno, ma scatenerebbe nell’area un potenziale conflitto, capace di coinvolgere fazioni estreme, tutte grandi produttrici di petrolio, e tutte, dopo molti anni di sonnolenze, molto interessate affinché la materia prima possa tornare a rivalutarsi e anche di molto.

L’occasione che fa il petrolio di nuovo caro?

Secondo Pierre Andurand, uno dei più importanti gestori di hedge fund specializzati nel settore petrolifero, l’attuale pigrizia delle società energetica nell’aumentare gli investimenti nel settore, porterà il petrolio a una rivalutazione di prezzo fino a 300$ nel giro di pochi anni.

Andurand è noto per le sue inclinazioni rialziste sul petrolio, per nulla impensierito dall’ondata di produzione dei veicoli elettrici, dice che proprio l’aver trascurato il settore, rilancerà il prezzo con un forte shock.

Uno shock che non avrà nessun impatto negativo sull’economia “100$ al barile non ucciderà l’economia” ribadisce, anzi, avrà sicuramente un aspetto positivo nel rilanciare il flusso di investimenti nel settore, attratti da un ritorno di profittabilità.

Sarà veramente così?

La storia ci insegna che una volta scoppiate, le bolle difficilmente si rigonfiano nello stesso settore, soprattutto nell’arco di pochi anni, e sul petrolio ne sono passati solo 10. Ma nulla vieta che ci possano essere delle grandi oscillazioni di prezzo e dei ritorni di fiamma.

Specie, dopo un grande letargo. Un indizio arriva dalle parole del ministro del petrolio saudita Khalid Al-Falih che solo pochi giorni fa, insinuava che un’eventuale rivalutazione del barile a 75$ non avrebbe fatto male a nessuno.

Un’allusione o un avvertimento?

La quotazione del gigante Aramco è sempre più vicina, si dice che sarà portata in borsa nel 2019, difficile che ciò avvenga a prezzi calanti, più facile che ciò accada con prezzi in salita, magari con una semplice, ultima fiammata.

Rialzi che potrebbero coinvolgere anche i titoli di casa nostra, dove aziende come Saipem e Trevi, per troppo tempo sono state lasciate marcire in fondo al barile, un barile, che anche a calci, presto potrebbe essere lanciato verso l’alto. 

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