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Economia
Recovery Fund, il bazooka di Trump batte tutti: 3.331 mld contro i 2.400 Ue
(fonte Lapresse)

Dopo Stati Uniti, Giappone e Cina, anche l’Unione Europea rompe gli indugi e presenta il suo “bazookacontro la crisi scatenata dalla pandemia di Covid-19, una crisi, come ha ricordato in giornata il presidente della Bce, Christine Lagarde, che farà calare tra l’8% e il 12% il Pil dell’Eurozona, avvicinandosi allo scenario peggiore finora stimato dalla Bce stessa. Da parte sua Ursula Von Der Leyen parlando di fronte alla sessione plenaria del Parlamento Europeo prova a rassicurare i presenti (e i mercati): la Commissione Ue intende proporre “un nuovo strumento di recupero” (il cosidetto “recovery fund”), denominato Next Generation EU, per un valore di 750 miliardi di euro” (rispetto ai 500 miliardi della proposta franco-tedesca).

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Di questi 500 miliardi saranno costituiti da sovvenzioni a fondo perduto e 250 miliardi da prestiti a lunga scadenza, ma non è finita qui. La Von Der Leyen ha proposto anche un “rinnovato bilancio a lungo termine della Ue da 1,1 trilioni di euro”. Se ai 1.850 miliardi di euro preventivati oggi si aggiungono “le tre reti di sicurezza di 540 miliardi di euro di prestiti, già concordate dal Parlamento e dal Consiglio Europeo” (240 miliardi attraverso il Mes in forma “non condizionata”, 200 miliardi tramite prestiti agevolati della Bei e 100 miliardi erogati dal Sure per la lotta alla disoccupazione), gli sforzi di recupero della Ue arriveranno “ad un totale di 2,4 trilioni di euro”, ha concluso la Von Der Leyen. 

Nel calcolo non sono ovviamente compresi i 750 miliardi di liquidità che la Bce inietterà sul mercato entro fine anno e che pure si riveleranno preziosi per molti stati, a partire dall’Italia (che già oggi è riuscita a collocare tutti i 6,5 miliardi previsti di Bot a 6 mesi ad un tasso  dello 0,012% annuo lordo, lo 0,22% in meno rispetto alla precedente asta di fine aprile. Un calo che se si riverberasse lungo tutto il debito pubblico italiano (oltre 2.400 miliardi) ridurrebbe di 5 miliardi gli oneri finanziari per la Repubblica Italiana rispetto ai livelli toccati in piena pandemia.

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Gli Stati Uniti, nonostante un clima sempre più polarizzato anche per l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali di novembre, si sono mossi prima e per controvalori simili, ma hanno preferito altri tipi di misure. Federal Reserve e Tesoro hanno messo in piedi un piano congiunto di aiuti per 500 miliardi di dollari per rifinanziare stati e città fortemente indebitati, mentre il Congresso ha varato un piano d’intervento straordinario da 2.200 miliardi di dollari. Quest’ultimo prevede, tra l’altro, l’invio di un assegno da 1.200 dollari a ciascun americano con reddito non superiore ai 75.000 dollari (oltre a 500 dollari per ogni figlio a carico), per complessivi 290 miliardi, e 377 miliardi a favore delle piccole imprese.

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All’interno di quest’ultima misura sono previsti prestiti a garanzia statale, differimento delle imposte, un credito d’imposta rimborsabile al 50% per imprese che più colpite dal coronavirus, detrazioni fiscali per interessi e perdite operativi, ammortamenti fiscali agevolati, deduzioni per la beneficienza e sostegni per l’erogazione di buoni pasto e per la nutrizione infantile. Ci sono poi 504 miliardi di sostegni finanziari per le società più penalizzate dalla crisi, come le compagnie aeree o Boeing (oltre a ulteriori 10 miliardi di aiuti agli aeroporti).

Completano il maxi-pacchetto di stimoli uno stanziamento da 100 miliardi per rafforzare il sistema sanitario (oltre ad altri 30 per l’acquisto di forniture mediche e dispositivi di protezione), 260 miliardi di fondi per estendere la durata e la copertura settoriale dei sussidi contro la disoccupazione (“jobless claims”), le cui richieste sono letteralmente esplose in queste settimane, 30 miliardi di fondi per l’istruzione, 25 miliardi per i sistemi di trasporto di massa, 10 miliardi per il servizio postale degli Stati Uniti ed 1 miliardo per il servizio ferroviario passeggeri Amtrak. In tutto un bazooka a stelle e strisce da 3660 miliardi di dollari (3331,46, miliardi di euro).

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Da ricordare tuttavia che la Federal Reserve sta continuando a pompare liquidità nel sistema a livelli multipli rispetto alla Bce e si prevede che alla fine avrà riversato 10 trilioni di dollari sui mercati. Non ci sono andati leggeri neppure in Giappone, anche se i numeri sono decisamente più contenuti rispetto a Usa e Ue. Shinzo Abe già ad inizio aprile ha annunciato il più grande pacchetto di stimoli economici di sempre, per un valore complessivo di 108 trilioni di yen (915 miliardi di euro), il doppio di quanto varato (57 trilioni di yen) durante la crisi globale del 2008-2009. Il pacchetto varato da Abe si divide in due tipologie di misure: da una parte aiuti alle famiglie, dall’altra alle piccole e medie imprese. 

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Per le prime sono arrivate una moratoria di un anno del pagamento delle tasse, un assegno di 300mila yen (circa 2.500 euro) alle famiglie meno abbienti e 10mila yen (84 euro) a figlio per ogni coppia giapponese. A queste misure si sono poi aggiunti 100mila yen (855 euro circa) a tutti i cittadini, indistintamente. Per le seconde sono stati previsti aiuti fino 2 milioni di yen (circa 17mila euro) per ogni Pmi in difficoltà, per una spesa complessiva stimata pari a 2.300 miliardi di yen (circa 19,5 miliardi di euro). Anche in questo caso la banca centrale, la Bank of Japan (BoJ) sta offrendo da tempo il suo aiuto avendo portato a 486 trilioni di yen (4,1 triliardi di euro) il controvalore dei titoli di stato in portafoglio, equivalenti a circa il 90% del Pil giapponese. 

La Cina punta invece sulla riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria delle banche e sulla promozione di prestiti a basso costo alle imprese (in particolare alle micro, piccole e medie imprese) e alle ditte individuali, per complessivi 2.850 miliardi di yuan (circa 362 miliardi di euro). Pechino continuerà ad attuare politiche preferenziali, tra cui la riduzione delle tasse e delle tariffe, della quota di assicurazione di base per la vecchiaia dei dipendenti pagata dalle imprese, ed estenderà fino a fine anno la riduzione del prezzo dell’elettricità per le imprese industriali e commerciali. Per quanto riguarda lo sviluppo del settore privato, infine, la Cina ha fatto sapere di voler promuovere un “contesto favorevole” e voler dare alle imprese private pari accesso ai fattori di produzione e al sostegno delle politiche.

Come si vede dopo anni di “austerità”, di tale comportamento non c’è più traccia in nessun angolo del globo con buona pace dei falchi dell'“austerità” del Nord Europa. Vista l’emergenza meglio così, anche se è inutile illudersi che alla fine il conto non dovrà essere pagato in qualche modo, sebbene sul come e sul chi dovrà farlo le discussioni non sono neppure iniziate, tanto più che avendo ogni area adottato una propria politica, i risultati potranno essere molto diversi tra loro. Solo il tempo consentirà di dire quali saranno i migliori e che conseguenze comporteranno le scelte di queste settimane.

 

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