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Economia
Recovery Fund, Von Der Leyen temporeggia. La spina degli aiuti a fondo perduto

Recovery Fund, alla Commissione Ue serve ancora tempo per trovare la quadra. I paesi “frugali” del Nord non vogliono cedere troppo

Ursula Von Der Leyen prende tempo, una o forse due settimane, per presentare la proposta della Commissione Ue da lei presieduta sul Recovery Fund e il Bilancio Ue 2021-2027, due strumenti che sono destinati a viaggiare in parallelo per sostenere la futura ripresa dell’Eurozona dalla crisi provocata dalla pandemia di coronavirus. Non ha potuto fare diversamente la Von Der Leyen, perché se avesse portato ora all’Eurogruppo una proposta di Bilancio Pluriennale e di Recovery Fund vi era il rischio che il fronte del Nord, i “frugali” come amano definirsi Olanda, Finlandia e Germania, continuasse a dire di no, bloccandone il varo (nell’Eurogruppo è necessaria l’unanimità dei pareri per approvare qualsiasi misura).

Al momento dunque non c’è certezza né sulle dimensioni del fondo (si sa solo che non basterà il Bilancio Ue e saranno dunque necessari ulteriori versamenti degli stati, ma non è chiaro chi verserà quanto), né come verrebbero ripagati a scadenza gli eurobond che il fondo emetterà per finanziarsi (parte delle risorse potrebbero derivare da imposte comuni sulle attività inquinanti) né infine come destinare gli aiuti del fondo (la Spagna propone che si distribuiscano in base alla contrazione del Pil e all’aumento della disoccupazione) e neppure che forma avranno questi aiuti (se fossero prestiti finirebbero per aumentare ulteriormente i rapporti debito/Pil già destinati a schizzare alle stelle per paesi come l’Italia a causa della crisi).

In assenza del Recovery Fund comunitario gli strumenti a disposizione da un lato per superare l’emergenza, dall’altra per sostenere la ripresa sono appunto il Bilancio Ue (che però finora rappresenta appena l’1% del Pil dell’Eurozona), i prestiti che la Bei può garantire (200 miliardi: ad oggi ne è stato attivato 1 di garanzie che potranno tradursi in un massimo di 8 miliardi di finanziamenti), il Sure ossia lo schema integrativo europeo per la cassa integrazione (altri 100 miliardi) e l’Europen stability mechanism (Esm o Mes, 240 miliardi), quando meno nella sua forma “light”. Forma che dovrebbe prevedere, come ha anticipato il ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra al proprio parlamento, la concessione di aiuti a condizione che gli stessi siano usati dai paesi richiedenti solo per le spese sanitarie, vengano concessi solo fino a fine emergenza e vi sia un monitoraggio di come gli aiuti saranno effettivamente utilizzati.

Niente “prestiti ponti” (che puntualmente si trasformano in aiuti a fondo perduto) per Alitalia tramite tali strumenti, insomma. Se Roma vorrà salvare l’ex compagnia di bandiera, come qualsiasi altra azienda minacciata dalla crisi causata dal lockdown stabilito per fronteggiare la pandemia, dovrà farlo stanziando fondi propri.

Ma proprio questo è lo scoglio attorno a cui cerca di navigare la Von Der Leyen: i “frugali” sono paesi che avendo maggiori risorse a disposizione possono lanciare piani di sostegno agli investimenti da decine (50 miliardi nel caso dell’Olanda) a centinaia di miliardi (550 nel caso della Germania). Investimenti, si badi, non aiuti a fondo perduto, che si ripagheranno accelerando l’innovazione e recuperando il gap in termini di infrastrutture.

Al contrario gli “spendaccioni” del Sud Europa, come l’Italia, continuano a promettere alle proprie aziende e cittadini aiuti che faticano a concretizzare per la limitatezza delle risorse a disposizione, cercando di respingere anche solo l’idea di dover contrarre un prestito da utilizzare come proposto da Hoekstra. La ragione come spesso accade non è mai esclusivamente da una parte sola: l’argomento più forte a favore del varo di un Recovery Fund Ue ampio e potente sta nel fatto che in sua assenza, le differenti politiche fiscali nazionali e differenti capacità di spesa si tradurranno inevitabilmente in un ulteriore ampliamento delle differenze tra i singoli paesi membri.

Ciò significherà a sua volta riprese più forte per i paesi che sono già ora più solidi e più deboli per i paesi con meno risorse e disoccupazione strutturale in aumento: in Italia la Commissione Ue stima infatti 1,73 milioni di disoccupati in più entro fine anno, ma solo 1,17 milioni di riassunzioni nel 2021 (sempre che il Pil l’anno venturo recuperi il 6,5%, dopo il previsto crollo del 9,5% di quest’anno). Uno scenario tale da mettere a rischio la stabilità e sostenibilità del mercato unico europeo, ipotesi rispetto alla quale la Von Der Leyen dovrebbe essere categoricamente contraria.

Non solo. La retorica dei paesi “frugali” e degli “spendaccioni” per quanto molto popolare (e populista), non tiene conto di due fattori chiave: primo, che dal 1995 l’Italia ha registrato un surplus di bilancio primario (ossia al netto dei pagamenti degli interessi sul debito) in 24 anni su 25, con la sola eccezione del 2009, quando il bilancio italiano scontò gli effetti negativi della crisi del 2008. L’Italia ha anzi registrato un consolidamento fiscale maggiore rispetto a Germania e Olanda, è stata insomma “più virtuosa”, pagando tale ritrovata virtù con inevitabili e negativi effetti sulla crescita.

Secondo, che ogni tentativo di essere “virtuosi” durante una crisi rischia di aggravare la situazione, deprimendo maggiormente l’economia del paese, come ha dimostrato la crisi del debito sovrano del 2010-2011. I paesi “frugali” del Nord  Europa dovrebbero dunque cessare di “dare lezioni” a quelli del Sud Europa (che a loro volta dovranno accettare regole e controlli comuni), accettando un grande fondo di risanamento senza tirare troppo per le lunghe, dato per ora l’unico sostegno contro la crisi è dato dalla Bce col suo quantitative easing e una potenza di fuoco di mille miliardi di euro.

Ma proprio la Bce è stata irritualmente “avvertita” dalla Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe che la Germania potrebbe entro 3 mesi non fare più la sua parte nell’ambito del quantitative easing (cosa, peraltro, che comporterebbe un minor acquisto, o anche una vendita netta, di Bund tedeschi, visto che ogni banca centrale nazionale compra solo i propri titoli nazionali). Un segnale di crescente insofferenza da parte di istituzioni e corpi intermedi nazionali verso la cessione di potere alle istituzioni sovranazionali europee che ha forse consigliato la Von Der Leyen di cercare ulteriori compromessi che assicurino l’unanimità di consensi alle sue proposte sul Budget Comunitario e sul Recovery Fund. L’alternativa sarebbe la spaccatura definitiva dell’Unione europea.

 

 

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