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Economia

Di Marco Onado, www.lavoce.info*


Con l’Unione bancaria finirà per aumentare il rischio sopportato dai risparmiatori. Perché i risparmi che i privati cittadini affidano alle banche non saranno più tutti ugualmente sicuri. Ma c’è ancora molto da fare per garantire ai clienti una informazione semplice e allo stesso tempo efficace.

NUOVE PROCEDURE PER BANCHE IN CRISI

La lunga e accidentata strada verso l’Unione bancaria finirà per aumentare il rischio sopportato dai risparmiatori. Eppure questo fondamentale passaggio rischia quasi di passare inosservato e soprattutto di non essere accompagnato da un adeguato rafforzamento dei meccanismi di tutela dell’investitore.
 La Germania ha dato il suo sì definitivo all’unione bancaria dopo che è stata ridotta al minimo la probabilità che vengano usati soldi tedeschi per mantenere in piedi banche di altri paesi. Infatti, la procedura prevista in caso di crisi di una banca, prevede tre fasi: il bail-in, cioè il coinvolgimento dei creditori; poi il ricorso al fondo nazionale di risoluzione delle crisi; infine l’accesso al fondo europeo (European Stability Mechanism).
 La vera novità è il bail-in, cioè una ristrutturazione del debito, praticamente forzosa, che inizierà a essere applicata dal 2016 (dunque quando gran parte delle passività di oggi delle banche saranno giunte a scadenza). Con questa fondamentale innovazione, da oggi le passività delle banche europee si distinguono in due grandi categorie: le passività assicurate (i depositi fino a 100mila euro) e le altre, che possono essere detenute da privati risparmiatori o da investitori qualificati.

 Se dovesse scattare la tagliola del bail-in (la prima linea di difesa, si badi, non più i fondi o le garanzie pubbliche finora utilizzate nel momento dell’emergenza) è difficile che si possa distinguere per tipologie di investitori e dunque tutti verrebbero trattati secondo la scala di priorità prevista dalle diverse tipologie di credito, esattamente come succede in una procedura concorsuale tra i creditori privilegiati e quelli chirografari.
 Dunque, da oggi i risparmi che i privati cittadini affidano alle banche non sono tutti ugualmente sicuri. Eppure è proprio questo l’obiettivo prioritario del risparmiatore italiano. Lo dicono i sondaggi; lo dice la composizione della ricchezza finanziaria, dominata da depositi, obbligazioni bancarie e titoli di Stato; lo dice il fatto che la quasi totalità dei prodotti è acquistata allo sportello, per la fiducia che si continua a nutrire nella “banca sotto casa” (le cicatrici delle obbligazioni Cirio e Parmalat sembrano guarite miracolosamente).


L’INFORMAZIONE SUI RISCHI

Oggi la ricchezza finanziaria delle famiglie comprende 668 miliardi fra contanti e depositi a vista; 518 di altri depositi e 347 di obbligazioni bancarie. Si badi che questo valore è quasi doppio dei titoli di Stato (166 miliardi) e molto più alto dei fondi comuni (297 miliardi). Le obbligazioni bancarie, cioè le passività non assicurate, sono quindi una componente importante del risparmio: il 12 per cento circa del totale (3,7 trilioni di euro) depurato dalle azioni (778) in gran parte costituite dal capitale della piccola e media impresa.

 Eppure le banche continuano a emettere titoli strutturati, dunque con una forte componente di rischiosità finanziaria, che si aggiunge alla componente di rischiosità dell’emittente che da oggi assume ben diversi contorni rispetto al passato. Abbondano titoli con rendimenti legati a variabili che non riflettono in alcun modo esigenze di copertura di un risparmiatore medio. Un esempio interessante è un titolo che in questi giorni viene commercializzato dalla rete di Banca Intesa: si tratta di un’obbligazione quadriennale che paga una cedola del 3,75 lordo all’anno solo se a quattro date fisse, il dollaro Usa non si sia deprezzato rispetto all’euro. In pratica, una scommessa sull’apprezzamento del dollaro (ma in giorni fissi, non in periodi che possono mediare movimenti casuali).

 In tutti gli altri casi, la cedola è pari a zero, ma le condizioni di offerta annunciano con enfasi un “livello di protezione” pari al 100 per cento del prezzo di sottoscrizione e dunque “la perdita potenziale per il sottoscrittore alla data di scadenza è pari a zero”. Il che non è esatto e infatti alla pagina 3 della nota informativa, si aggiunge che “in merito alla corresponsione dell’eventuale ammontare dovuto in relazione al [titolo] gli investitori possono fare affidamento sulla solidità finanziaria dell’emittente senza priorità rispetto agli altri creditori non privilegiati dell’emittente stesso. In caso di insolvenza dell’emittente, l’investitore sarà un mero creditore chirografario e non beneficerà di garanzia alcuna per la soddisfazione del proprio credito nei confronti dell’emittente”.

Va detto che la nota informativa del titolo in questione contiene molti dati che aiutano un investitore esperto a capire che non si tratta di un investimento appetibile: il costo è elevato (2,80 per cento), lo smobilizzo durante i quattro anni può comportare costi ulteriori; il rendimento medio probabile è praticamente uguale a quello del Btp di pari scadenza e il Var addirittura superiore. Nonostante questo sforzo di trasparenza, sorgono almeno tre problemi. Primo: si tratta di informazioni che vengono fornite volontariamente dall’emittente perché il livello minimo di informazione è molto più basso. Secondo: proprio per questo motivo, le informazioni in questione possono essere apprezzate solo da chi ha un livello di conoscenza finanziaria molto elevato, di gran lunga superiore a quello mediamente espresso dalla stessa rete di vendita delle banche. Ne deriva il terzo problema: si apre una voragine fra la rischiosità di un titolo come viene rappresentata nel documento informativo e la rischiosità come viene presentata agli sportelli dai dipendenti della banca. Questi ultimi, fra l’altro, vengono sempre più valutati in base all’importo complessivo dei prodotti collocati, senza alcuna distinzione per i livelli di rischio, con i migliori saluti alla customer satifaction, di cui tanto si disquisisce nei convegni in cui il buonismo bancario scorre a fiumi. Ma nella realtà, le esigenze del budget impongono tali pressioni alla rete di vendita, da far passare assolutamente in secondo piano la protezione del risparmiatore. Tutto questo significa che gli sforzi delle autorità internazionali per coniugare semplicità ed efficacia dell’informazione fornita al cliente sono ancora ben lungi dall’aver raggiunto risultati accettabili.

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