Economia
Ryanair e la lotta ai sindacati. L'avidità pregiudica l'attività d'impresa
Una gestione troppo rigida dei rapporti col personale ha già costretto Ryanair a ritirarsi dalla gara per Alitalia: ora il “duro” O’Leary si ammorbidirà?
Non è un momento particolarmente fortunato per Michael O’Leary, Ceo di Ryanair finora famoso per alcune uscite teatrali che non avevano comunque impressionato investitori e mercati, anzi: “Comprerò Alitalia solo se prima la rivoltano come un calzino” aveva annunciato O’Leary a giugno, aggiungendo di attendersi dai commissari “il taglio netto della forza lavoro e dei costi degli aerei e degli scali”, per poi ribadire solo dieci giorni fa che nella compagnia irlandese non avrebbe consentito “mai i sindacati, ghiaccerà prima l’inferno”. Mai parole furono più improvvide e poco tempestive, perché se il creatore del modello low cost Dublino fosse stato meno zelante nell'osservare i rigidi dettami del capitalismo fordista, il caso Ryanair non sarebbe deflagrato in tutta la sua potenza (con danni milionari sul conto economico e nella capitalizzazione di Borsa).

I disservizi causati agli utenti da una gestione delle ferie del personale che lo stesso manager ha dovuto definire “pasticciata”, chiedendo scusa, stanno invece iniziando a incrinare il mito della low cost finora capace di crescere e fare profitti ai danni delle major e soprattutto delle compagnie di media dimensione come Alitalia (dalla cui gara Ryanair si è appena ritirata per “eliminare ogni distrazioni per il management”), troppo piccole per competere coi grandi, troppo costose per competere con le low cost.
I voli cancellati sono infatti saliti ad oltre 20 mila, i passeggeri lasciati a terra sono arrivati ad essere 700 mila dai 400 mila previsti inizialmente e i costi rischiano di raddoppiare da 25 a 50 milioni di euro tra rimborsi e mancati ricavi.
Così il titolo alla Borsa di Dublino ha iniziato a perdere quota, scendendo dai 19,83 euro di Ferragosto ai 16,32 euro di ieri sera, con un calo di circa il 18%, proprio mentre l’Iseq (l’indice della borsa di Dublino) registrava un andamento laterale guadagnando un modesto 1,5%, in parte risentendo di quello che alcuni commentatori italiani definiscono un “attacco al modello irlandese”, ossia della richiesta da parte di alcuni paesi della Ue di arrivare a definire dei livelli di tassazione minima più elevati di quelli finora in essere in Irlanda, in particolare con l’introduzione della cosiddetta “web tax” e di contributi obbligatori che andrebbero ad alzare il costo del lavoro.

Il Ceo di Ryanair Michael O’Leary, famoso per le sue uscite teatrali
In attesa di vedere come andrà a finire il braccio di ferro tra Dublino, che non intende in alcun modo eliminare il principale “motore” della sua crescita miracolosa (appunto il regime fiscale agevolato che da dopo la crisi del 2008 ha indotto 700 multinazionali, che danno impiego a 103 mila addetti, a trasferire la propria residenza fiscale in Irlanda), e i governi europei che in molti casi non sono in grado di adeguare a loro volta al ribasso il prelievo fiscale su imprese e persone fisiche, avendo deciso da tempo di alimentare la propria crescita a colpi d’imposta secondo il modello (tristemente noto ai contribuenti italiani) del “tassa e spendi”, Ryanair corre pragmaticamente ai ripari. Ma sembra incontrare qualche difficoltà in più del previsto.
(Segue...)