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Economia
Safilo al minimo storico in borsa, dal 2014 a oggi il titolo ha perso il 90%


Safilo sul viale del tramonto? Di certo chi avesse investito in questi anni nel titolo del gruppo di occhialeria un tempo controllato dai fratelli Tabacchi non avrebbe fatto un grande affare: dai 19,3 euro toccati brevemente a inizio 2014 il titolo è poi franato costantemente sino a scivolare stamane ad un minimo (storico) di 1,95 euro, con un calo attorno ai 5 punti percentuali, per poi cercare di riavvicinarsi almeno ai 2 euro per azione. Come dire che in poco più di 4 anni e mezzo si è volatilizzato quasi il 90% della capitalizzazione, ridottasi  a meno di 130 milioni di euro.

La spallata decisiva l'ha data l'annuncio, dato la scorsa settimana, di un aumento di capitale fino a un massimo di 150 milioni di euro che l'azionista di riferimento, Multibrands Italy BV, società controllata da Hal Holding, si è impegnato a sottoscrivere pro-quota (il 42,23% del capitale) oltre che per la parte eventualmente rimasta inoptata, a condizione che l'aumento stesso non sia lanciato ad un prezzo superiore agli 1,5 euro.

Livello a cui il titolo potrebbe dunque avvicinarsi da qui al 29 ottobre, quando l'assemblea dei soci (tra gli azionisti rilevanti vi sono i fondi di Bdl Management col 6,35% e Vittorio Tabacchi con un residuo 9,22%) deciderà in merito alla proposta di ricapitalizzazione avanzata dal Cda. Proposta che è finalizzata a supportare il rifinanziamento del debito in scadenza nei prossimi dodici mesi, oltre che a rafforzare e ottimizzare la struttura patrimoniale e finanziaria di Safilo per consentire alla società di focalizzarsi sugli obiettivi di crescita e sui piani di sviluppo del business plan al 2020, aggiornato a inizio agosto.

Nell'ambito del business plan, infatti, Safilo e un pool di banche finanziatrici avevano negoziato termini e condizioni commerciali per un nuovo finanziamento di 150 milioni di euro di durata pari a circa 4,5 anni. Dopo l'annuncio dell'aumento tutti gli analisti hanno tagliato drasticamente le loro stime e giudizio sul titolo, ultimi in ordine di tempo gli uomini di Mediobanca ("underperform" con target a 2,80 euro, ormai superato al ribasso dalle quotazioni). Ma come è stato possibile arrivare alla situazione attuale?

Dopo varie vicissitudini, nel 2009 Hal, società d'investimento internazionale con sede a Curaçao, nelle Antille Olandesi, era entrata nel capitale di Safilo, rilevando l'attuale partecipazione e oltre il 60% delle "Senior Notes" scadenza 2013 emesse da Safilo e che costavano il 9% di interesse annuo, procedendo poi, assieme a Tabacchi, a ricapitalizzare la società per 250 milioni grazie al supporto di Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo) e Hvb Milano (gruppo Unicredit), mentre Safilo stessa aveva rinegoziato, allungandolo, il debito nei confronti di Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Erano poi seguite dismissioni di alcune catene di negozi, ma il problema vero è stato rappresentato dalla decisione di alcuni marchi come Dior (controllato da Kering) e Celine (controllato da Lvmh) di non rinnovare il contratto di licenza (Celine) o di modificarlo da concedente licenza a fornitore. Una scelta che è stata fatale, alla lunga, all'amministratore delegato Luisa Delgado, che pure era riuscita a fronteggiare l'emergenza inserendo in portafoglio nuove griffe come Moschino, Givenchy, Elie Saab, Havaianas, Rag&Bone, Swatch e Rebecca Minkoff, e rinnovando quelle con Dior, Jimmy Choo, Tommy Hilfiger, Max Mara, Kate Spade, Juicy Couture e Saks.

La Delgado, il cui arrivo in Safilo nell'ottobre 2013 coincise con l'ultimo strappo al rialzo del titolo in borsa prima della crisi, ha lasciato spazio dal febbraio di quest'anno all'ex presidente Unilever Italia, Angelo Trocchia, che a sua volta ha segnato qualche punto all'attivo come il rinnovo (fino al 2025) della licenza con Banana Republic, ma non ha potuto per ora evitare ulteriori cali dei volumi di produzione e un peggioramento dei risultati di bilancio (il primo semestre si è chioso con una perdita netta rettificata di 10,4 milioni di euro rispetto a quella di 6,6 milioni del primo semestre 2017), in attesa dei rinnovi decisivi, quelli delle licenze di Hugo Boss e Tommy Hilfiger (in scadenza nel 2020), oltre a quelle del gruppo Lvmh, a partire da Dior (in scadenza nel 2020).

Safilo, insomma, deve sperare che il confronto tra Kering e Lvmh per la leadership nel settore moda-lusso (un duello in cui sembra volersi provare a inserire l'americana Kors, che ha appena rilevato l'italiana Versace per 2 miliardi di dollari) non finisca col stritolare chi, come il gruppo italiano, prova invece a rimanere un produttore indipendente. Se a questo si aggiunge il crescente timore di ulteriori contraccolpi, in termini di vendite, derivanti da possibili sviluppi negativi del confronto tra l'amministrazione Trump e i principali partner commerciali a partire dalla Cina (dove Safilo ha un impianto di produzione che dà lavoro a 3 mila dipendenti), il quadro è completo.

Per superare la crisi Trocchia promette di tagliare i costi, tuttora significativamente superiori a quelli dei competitor diretti (un tasto delicato visto che potrebbe significare nuovi esuberi per le fabbriche italiane), di focalizzare la produzione sui segmenti premium, contemporary e lifestlyle, per riavviare la crescita a partire dai marchi Carrera, Smith e Polaroid e di sviluppare una strategia multi-canale che porti le vendite tramite e-commerce a raddoppiare di peso, dal 3% attuale al 6% entro il 2020.

Basterà tutto questo, una volta raccolti i 150 milioni di euro con cui rimborsare il finanziamento revolving in scadenza a fine novembre prossimo, a rassicurare mercato e banche finanziatrici consentendo anche di superare la scadenza (maggio 2019) del bond equity-linked? Una prima risposta si avrà nelle prossime settimane, mentre la certezza di aver lasciato il viale del tramonto ed essersi rimessi in corsa potrà essere raggiunta, eventualmente, solo tra i prossimi 6-18 mesi.

 

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