Se il petrolio scombina anche le buone abitudini di Wall Street - Affaritaliani.it

Economia

Se il petrolio scombina anche le buone abitudini di Wall Street

di Simone Ferradini

Il 16 gennaio 2016 l'International Atomic Energy Agency (IAEA) ha verificato che l'Iran ha adempiuto agli impegni descritti nel Joint Comprehensive Plan of Action siglato il 14 luglio 2015 con il gruppo E3/EU+3 (Cina, Francia, Germania, Federazione Russa, Regno Unito, Stati Uniti e l'alto rappresentante dell'Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza). Il Paese mediorientale ha ottenuto in tal modo la cancellazione delle sanzioni economico-finanziarie legate al nucleare imposte nel 2012. Tra queste, le più significative erano quelle da parte della UE su "importazione e trasporto di petrolio, prodotti petroliferi, gas e prodotti petrolchimici".

Quattro settimane dopo, il 12 febbraio, il future sul petrolio crude (Light Sweet Crude Oil) quotato al CME toccava un minimo a 26,05 dollari/barile, il livello più basso dal 2003, per poi rimbalzare e superare negli ultimi giorni quota 46. Si tratta di un movimento alquanto singolare se si considera che l'effetto delle sanzioni sulla produzione di petrolio greggio dell'Iran è stato una flessione di circa 0,9 milioni di barili di media al giorno durante tutto il periodo tra metà 2012 e inizio 2016: parliamo di quasi il 3 per cento circa dell'intera produzione dei paesi membri dell'OPEC. La fine delle sanzioni dovrebbe ragionevolmente anticipare il ritorno del petrolio iraniano sui mercati e, di conseguenza, un significativo incremento dell'offerta. Normalmente l'aumento dell'offerta di un bene determina una flessione del prezzo del bene stesso: nel caso del petrolio l'effetto è stato invece diametralmente opposto, con i prezzi che (dopo una flessione in essere da oltre un anno e mezzo) toccano un minimo pluriennale per poi risalire su livelli abbandonati a inizio novembre 2015.

Quali possono essere le cause di questo anomalo recupero del prezzo del greggio? In primis la relativa lentezza con cui l'Iran tornerà ai livelli di produzione pre-2012, ovvero circa 3,7 milioni di barili al giorno. In base alle proiezioni elaborate dall'EIA, l'Energy Information Administration (ente governativo USA che diffonde dati e analisi sul settore energia, tra cui i dati settimanali sulle scorte di petrolio e derivati, molto seguiti dai mercati) la produzione iraniana media nel 2016 si attesterà intorno ai 3,1 milioni di barili al giorno, raggiungendo i 3,3 milioni a fine anno, mentre per l'anno successivo il livello medio giornaliero salirà a 3,6 milioni di barili, toccando i 3,7 milioni di barili a fine anno. L'Iran impiegherà quindi quasi due anni per rivedere i livelli di produzione precedenti all'entrata in vigore delle sanzioni.

Ma la causa principale, a mio avviso, è quella spiegata dal noto e sempre efficace adagio di Wall Street, sebbene adattato al caso specifico: "Sell on rumors, buy on news". Il meccanismo è identico, mutatis mutandis, a quello della versione canonica ("buy on rumors, sell on news"). Gli operatori si mettono in moto (in questo caso, vendono future sul crude) non appena iniziano a circolare indiscrezioni sulla realizzazione di un evento (fine sanzioni Iran) e accelerano progressivamente le operazioni man mano che le voci aumentano, per poi culminare in concomitanza (o immediatamente dopo) con l'uscita della notizia ufficiale: a quel punto non c'è più alcun motivo di vendere, dato che l'evento si è realizzato e solo pochi sprovveduti (il "parco buoi" nel mercato azionario) opereranno nella direzione suggerita dalla notizia. Questi ultimi, peraltro, forniranno ai traders più scaltri i bocconi più saporiti, ovvero permetteranno loro di comprare e chiudere l'operazione prendendo profitto sui minimi.