Statali, la Consulta boccia il blocco degli stipendi ma disinnesca la bomba da 35 miliardi
Niente bomba da 35 miliardi per le finanze pubbliche. Dopo il blocco della perequazione delle pensioni decise dal governo Monti e bocciato dalla Corte Costituzionale, il premier Matteo Renzi non fa il bis sullo stop alla rivalutazione degli stipendi pubblici grazie all'accoglimento da parte dei giudici della Consulta della tesi dell'Avvocatura dello Stato. Tesi secondo cui l'articolo 81 della Costituzione "assicura l'equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico".
Per l'Alta Corte, infatti, "è illegittimo il blocco dei contratti e degli stipendi della Pubblica Amministrazione, ma non per il passato". Secondo la memoria dell'Avvocatura dello Stato "l'onere" della "contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi", con "effetto strutturale di circa 13 miliardi" annui dal 2016. Una bomba che avrebbe rischiato di far esplodere i conti pubblici. Soprattutto poche settimane dopo che la stessa Corte aveva messo "fuorilegge" lo stop alla perequazione delle pensioni sbloccando gli adeguamenti rimasti fermi.
La situazione era comunque delicata perché i contratti dei dipendenti pubblici sono bloccati dal 2010 e l'adeguamento sarebbe dovuto ripartire nel 2017, ma sul costo dell'operazione c'è parecchia incertezza. In termini di retribuzioni, il congelamento scattato cinque anni è costato già oltre 600 euro, ma l'ultima rilevazione dell'Istat in materia si ferma alla fine del 2013: il conto rischia quindi di essere ancora più salato. D'altra parte, l'alleggerimento della busta paga si spiega sia con il congelamento dei rinnovi contrattuali e lo stop alle maturazioni stipendiali, come gli scatti, sia con il freno al turnover.
L'avvocato dello Stato chiedeva quindi alla Corte costituzionale di considerare l'impatto economico della contrattazione: "Di tali effetti non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale" che "ha riscritto l'art. 81 Cost, a partire dalla disposizione del nuovo comma 1, secondo la quale lo Stato assicura l'equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico".
Inoltre l'Avvocatura nella parte iniziale della memoria precisava come "in ogni caso le prerogative sindacali risultano salvaguardate e si sono estrinsecate, tra l'altro, nella partecipazione all'attività negoziale per la stipulazione dei contratti integrativi (Ccni), sia pure entro i limiti finanziari normativamente previsti" e "di contratti quadro". Poi, aggiunge, è rimasta in piedi la possibilità "di dar luogo alle procedure relative ai contratti collettivi nazionali, sia pure per la sola parte normativa". Insomma, evidenzia, ciò dimostra come "un'intensa attività contrattuale sia stata svolta, anche in pendenza del nuovo complesso normativo, ed abbia riguardato sia la contrattazione integrativa che quella nazionale".