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Economia
Svimez: "Bene l'export, ma al Sud troppi vincoli frenano l'agroalimentare"

Se in Italia l’agricoltura è l’unica attività economica capace di realizzare occupazione, profitti d’impresa e, nello stesso tempo, la difesa del territorio, al Sud il sistema agroalimentare meridionale è una potenzialità ancora parzialmente inespressa. Un gap che, all’alba di un nuovo periodo di programmazione della politica europea, richiede la messa a punto di investimenti pubblici e privati innovativi ed integrati.  Lo ha affermato Luca Bianchi  (nella foto) direttore  i Svimez, a Napoli nel corso di un convegno promosso dalla Cia Agricoltori Italiani della Campania sulle proposte per un’agricoltura come sistema rurale. Per il direttore di Svimez, superare questi vincoli richiede una strategia, una “visione” che sia in grado di cogliere il ruolo dell’agricoltura non solo come produttore di beni in senso stretto, ma anche come settore che produce beni di qualità, come elemento caratterizzante delle aree rurali con il loro portato di relazioni sociali, tradizioni e identità culturali, come componente del tessuto produttivo che può svolgere un ruolo importante nella tutela del paesaggio e della biodiversità, nonché nella difesa del territorio. “Restano, tuttavia, molti punti deboli che vanno affrontati se si vuole innescare un circolo virtuoso di sviluppo in cui l’attività primaria abbia un suo ruolo forte. In primo luogo -ha sottolineato Bianchi- esiste ancora un divario funzionale tra il Mezzogiorno produttore di materie prime e il Centro-Nord in cui sono localizzate le fasi a maggiore valore aggiunto, non solo le industrie di trasformazione, ma anche gli esportatori e le piattaforme di distribuzione con servizi integrati. In secondo luogo, il tasso di organizzazione della produzione meridionale è ancora modesto e ciò rappresenta un forte limite. L’integrazione all’interno del settore, infatti, non solo rappresenta uno strumento per la pianificazione e valorizzazione della produzione, ma può aumentare le capacità di dialogo e confronto con gli altri operatori della filiera, prima di tutto la grande distribuzione organizzata. In terzo luogo, spesso il Mezzogiorno -ha aggiunto- è associato a fenomeni di irregolarità e illegalità. Negli ultimi anni fenomeni criminali come quello della Terra dei Fuochi in Campania hanno avuto un impatto economico diretto sull’agricoltura, così come negli ultimi anni all’agricoltura meridionale sono stati associati fatti drammatici legati allo sfruttamento della manodopera che, evidentemente, vanificano qualunque strategia di sviluppo basata sulla qualità. Su questi punti di debolezza, ha precisato il direttore di Svimez, occorre intervenire con una risposta complessa e articolata capace di coinvolgere direttamente le istituzioni. E a tale scopo il prossimo periodo di programmazione della Pac può contribuire in modo specifico, ma sicuramente è necessaria una visione più ampia che coinvolga ambiti diversi di intervento, individuando le priorità per far convergere le risorse verso di essi. Una strategia che deve puntare sulla distintività delle produzioni attraverso la valorizzazione della qualità del prodotto e la sostenibilità del processo produttivo; una sfida nuova che partendo dal Sud può aiutare l’intero agroalimentare italiano a dare un contributo decisivo alla ripresa del Paese.

Un anno difficile per l’agricoltura italiana.

Contrariamente all’andamento del Centro-Nord, il Mezzogiorno ha registrato una performance migliore. Soprattutto grazie all’andamento del settore olivicolo e all’aumento dell’export agricolo. All’aumento del Valore aggiunto agricolo nel 2017 ha infatti contribuito, soprattutto il Sud, con 13 miliardi e 178 milioni di euro (+6,1% rispetto al 2016, a fronte del +2,5% nel Centro-Nord). I settori che l’anno scorso hanno maggiormente risentito delle avversità metereologiche sono stati quelli del vino (-14% della produzione), dei cereali (-11,7%), della frutta (-6,15), con particolare riferimento alle mele (-18,2%).  L’olio, invece, dopo un 2016 molto critico, ha aumentato la produzione del 17,3%, che tuttavia non è stato sufficiente a recuperare i livelli produttivi del passato. Se si analizza l’andamento del Valore aggiunto negli anni della crisi economica, dal 2007 al 2017, l’agricoltura italiana è cresciuta a valori correnti dell’8,6%, senza sostanziali differenze tra le due aree del Paese. In termini reali le differenze territoriali sono state, invece, significative. Di fatto, nel periodo in esame, il Valore Aggiunto dell’agricoltura meridionale diminuisce del 9,3% a valori concatenati, mentre nel Centro-Nord si osserva un aumento del 3,9%.         

I diversi andamenti regionali nel Mezzogiorno.

La Calabria è l’unica regione che dal 2016 al 2017 ha visto crescere (+6,5%) il Valore aggiunto agricolo, anche in maniera consistente. Fatta eccezione per l’Abruzzo che cresce dello 0,3%, tutte le altre regioni meridionali registrano variazioni negative, prima tra tutte la Sardegna (-5,6%). La Campania, in analogia con le altre regioni meridionali, vede calare il valore aggiunto dell’1,3% a valori concatenati mentre cresce del 4% circa a prezzi correnti.

 

Cresce l’export agricolo meridionale

Nel 2017 le esportazioni agroalimentari sono state pari a 7 miliardi e 112 milioni di euro, composte per circa 2 miliardi da prodotti agricoli e per 5 miliardi da prodotti alimentari, bevande e tabacco. Il contributo complessivo del Sud all’export agroalimentare resta contenuto seppur in crescita: il 17,4% di quello nazionale, con una crescita al Sud nel 2017 di oltre il 3%. Negli ultimi 5 anni l’export agroalimentare meridionale è cresciuto di circa 2 miliardi di euro. La componente più dinamica dell’export è quella dei prodotti investimenti e valore aggiunto prodotto è, dunque, pari al 17% nel Mezzogiorno, contro il 37% rilevato per l’agricoltura centro-settentrionale.

In secondo luogo, non solo il livello degli investimenti nell’agricoltura meridionale è più basso che nel resto del Paese, ma si sta riducendo in misura maggiore. Infatti, l’evoluzione degli investimenti fissi lordi a partire dal 2010 mostra un processo di disinvestimento che riguarda tutto il Paese, ma che è più accentuato nel Mezzogiorno. Di fatto, tra il 2010 ed il 2017, in agricoltura si è investito il 16% in meno in termini reali, con una riduzione percentuale doppia nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (-26% e -12,7%, rispettivamente).

In questo quadro, il dato congiunturale non è tale da indicare un cambiamento di rotta o una modifica strutturale dei processi di investimento nel Mezzogiorno. Esso potrebbe riflettere, almeno in parte, la ripresa del sostegno agli investimenti garantito dai Programmi di Sviluppo Rurale, dopo la stasi causata dal ritardo nell’avvio dell’attuale fase di programmazione 2014-2020 e, dunque, potrebbe essere il segno di una dipendenza dei processi di investimento dalle politiche di aiuto.

Il 2017 è stato un anno di ripresa degli investimenti. Ma il livello di investimenti nel settore primario al Sud resta ben più basso (2,2 miliardi) rispetto a quello del Centro-Nord (7,1 miliardi). Dal 2010 è in atto un pericoloso processo di disinvestimento in agricoltura, che, pur riguardando l’intero Paese, risulta più accentuato nel Mezzogiorno, -26%, a fronte di un -12,7% nel Centro-Nord.                                                   

Crescono nel 2017 le imprese agricole giovanili al Sud dopo il calo degli anni precedenti.

Il numero delle imprese agricole giovani è calato sensibilmente fino al 2015, per poi registrare una ripresa, che nel 2016 ha interessato maggiormente il Nord e il Centro (rispettivamente +9% e +12,5%) e meno il Mezzogiorno (+1,9%), mentre nell’ultimo anno il Mezzogiorno si è allineato alle tendenze generali (+5,9% a fronte di una media nazionale del +5,6%). Questo dato è ancora più significativo se si considera che nel 2017 lo stock totale di imprese agricole non è aumentato rispetto all’anno precedente (-0,3% in Italia e -0,4% nel Mezzogiorno).

 

 

 

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