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Economia
T-bill Usa e bond corporate Ue. Ecco le obbligazioni per l'estate


Quanto potrà ancora durare il momento "magico" dei mercati, sostenuti da un mix fatto di buoni dati societari, politiche monetarie ultra espansive delle banche centrali e inflazione ancora bassa? Nessuno è in grado di dare realmente una risposta, ma certo i rischi aumentano col passare dei mesi, perché una recessione, o un rialzo dei tassi di interesse reali, o un deciso movimento dei prezzi, vuoi al ribasso (deflazione) vuoi al rialzo (inflazione) potrebbe interrompere questo stato di grazia. Così da più parti si suggerisce di adottare un approccio cauto, tanto più durante l'estate, periodo solitamente più volatile non fosse altro per i minori volumi di scambio legati all'assenza di una parte degli investitori.

Banor Sim, ad esempio, per la componente a reddito fisso ha deciso di adottare un deciso sottopeso sui bond societari ("corporate") a elevato rendimento ("high yield") denominati in dollari, preferendo semmai rimanere investita in bond corporate high yield denominati in euro. La componente di portafoglio investita in titoli di stato a breve e medio-lungo termine è invece stata suddivisa tra governativi americani per la parte a breve (dato che sui titoli di stato europei a breve termine i tassi sono ancora schiacciati sui minimi storici) e governativi e bond corporate europei per quella a medio-lungo termine.

Nel vecchio continente, infatti, la percezione di un minore rischio politico in Italia e in Europa dovrebbe consentire alla Bce di non affrettare i tempi di avvio della propria "exit strategy", anche perché le aspettative di inflazione sono nuovamente in calo. Questo significa che i tassi sono destinati a mantenersi su livelli attorno a quelli attuali ancora per molti mesi e che la riduzione degli acquisti di bond sul mercato ("quantitative easing") da parte della banca centrale europea potrebbe non registrarsi prima dell'inizio del prossimo anno.

Se a questo si somma il fatto che anche la Bank of Japan ha dichiarato di non voler toccare né i tassi né il proprio programma di quantitative easing e che persino il capo della Bank of England, Mark Carney, si è detto in settimana più preoccupato dei possibili danni causati dalla Brexit che non di ulteriore crescita dell'inflazione, si capisce come quasi soltanto i T-bond a lungo termine dovrebbero risentire del progressivo innalzamento dei tassi da parte della Federal Reseve, unica banca centrale che sembra intenzionata a proseguire, già a fine anno, la sua "normalizzazione" (anche se non è escluso che in caso di peggioramento dei dati macro americani anche Janet Yellen si metta alla finestra come i suoi colleghi d'oltreoceano).

E per quanto riguarda i bond di paesi emergenti? Il mercato del debito di questi emittenti è cresciuto molto negli ultimi anni, grazie in particolare al flusso di investimenti provenienti dai fondi pensione, diventando appetibile per gli investitori internazionali sia guardando alla liquidità dei titoli sia in termini di opportunità di diversificazione, per evitare cioè di ritrovarsi con un portafoglio a reddito fisso troppo concentrato sui soli titoli di stato e corporate italiani (o europei).  Ciò detto, piuttosto che investire in singole emissioni nel caso dei paesi emergenti potrebbe essere una buona soluzione optare per fondi comuni o meglio ancora ETF che investano su tale classe di titoli, come ad esempio i due ETF Barclays Emerging Markets Sovereign 3% country cap, che presentano un limite massimo del 3% all'investimento in singoli paesi.

Dovendo tirare le fila e provare a ipotizzare un rendimento sulla base delle attuali quotazioni: la parte a breve termine (un 25% del portafoglio) potrà essere investita in T-bill americani, che rende poco più di zero ma nell'ultimo anno ha già guadagnato un 13% grazie all'apprezzamento del dollaro contro euro. Per la componente corporate in euro a 3-5 anni (un altro 25% del portafoglio) si può guardare a titoli come il bond Credit Agricole scadenza giugno 2022, cedola 1,16% che attualmente rende l'1,07% piuttosto che l'emissione a tasso variabile Credit Agricole FRN scadenza settembre 2019 che al momento paga l'1,27%.

La componente più importante (35% del portafoglio) potrà essere investita in titoli di stato europei decennali, tendenzialmente di emittenti del Sud Europa: il Btp guida offre al momento un rendimento attorno all'1,9%, i Bonos spagnoli pagano attorno all'1,4%, per i più "coraggiosi" i titoli decennali del Portogallo offrono un rendimento del 2,9% circa. Un 10% del portafoglio potrà essere investito in ETF che consentano di essere esposti ai bond emergenti, come  quelli già ricordati di Barclays, mentre un ultimo 5% potrà essere mantenuto in liquidità, per poter approfittare di qualche eventuale "giornata storta" a cui i mercati dovessero andare incontro durante i mesi estivi, ipotesi che non si può mai escludere ma che può rivelarsi utile per migliorare il rendimento del portafoglio a scadenza.

 

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