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Economia
UniCredit paga i ritardi nell'addio turco. Effetti in Borsa della tempesta

Lo chiamano Sultano o “Grande Maestro”. Guai a farlo arrabbiare perché il suo metro e 85 abbondante si trasformerà in oltre due metri di collera. Parliamo di Recep Erdogan, il presidentissimo turco che nella notte di ieri ha rimosso (l'ennesimo in solo due anni) in funzione anti-inflattiva, a suo dire, il governatore della banca centrale turca provocando un effetto domino. Prima di tutto sulla stessa valuta locale, che ha perso oltre il 17% in apertura di seduta nel concambio con il dollaro. Ma ha anche creato qualche grattacapo a UniCredit.

Orcel British Banking Standards 2013
Andrea Orcel

Che c’entra la banca di Piazza Gae Aulenti? L’istituto che attende con ansia l’arrivo di Andrea Orcel per iniziare – si spera – una stagione di maggiore “attivismo” in ottica M&A, era presente in Turchia con una quota di poco inferiore al 41% di Yapi Credi, in joint venture con il Gruppo Koc.

Poi, alla fine di novembre del 2019 la banca italiana, che stava iniziando a dismettere tutti gli asset non “core” è scesa al di sotto del 32% (31,93%, quota ridotta ulteriormente a febbraio del 2020 al 20%), ha sciolto la partnership con Koc. Perché? Perché la strategia di Jean Pierre Mustier di rinunciare a qualsiasi partecipazione all’estero pur di fare cassa esigeva un ulteriore tributo. 

L’operazione, infatti, ha avuto effetti nulli sulla cassa di Unicredit e sulla patrimonializzazione, ma è costata quasi un miliardo comprese le penali che sono state corrisposte al gruppo Koc per l’uscita anticipata dall’accordo. Allora sembrava tutto molto sensato: tornare a essere prima di tutto una banca, potenziare la presenza in Italia, contendere a Intesa Sanpaolo lo scettro di primo istituto di credito nostrano.

(Segue)

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