Veneto Banca, disparità di trattamento a Nordest fra Consoli e Zonin - Affaritaliani.it

Economia

Veneto Banca, disparità di trattamento a Nordest fra Consoli e Zonin

L'ex ad di Veneto Banca si è visto sequestrare 1,8 mln per le ipotesi di aggiottaggio e ostacolo alla vigilanza.L'ex n1 di PopVicenza Zonin invece l'ha scampata

La notizia è giunta come un fulmine a ciel sereno: stamattina i finanzieri del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia hanno messo agli arresti domiciliari Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca, ed eseguito numerose perquisizioni in tutta Italia nei confronti di 14 indagati nell’ambito di un’inchiesta aperta dalla Procura di Roma che ipotizza i reati di aggiotaggio e ostacolo all’autorità di vigilanza da parte degli ex vertici dell’istituto poi rilevato dal fondo Atlante. Non solo: le Fiamme Gialle hanno anche effettuato sequestri preventivi per 45 milioni di euro circa nei confronti di persone legate all’istituto veneto: a Consoli in particolare è stato sequestrato un immobile del valore di 1,8 milioni di euro, più liquidità e titoli.

Una nota della Guardia di Finanza ha poi precisato che a Consoli e agli indagati vengono contestate una serie di operazioni compiute nel biennio 2013-2014 con cui Veneto Banca ha finanziato importanti clienti per far loro acquistare azioni dell’istituto di credito, i cosiddetti “finanziamenti baciati” con cui vennero finanziati dalla stessa banca gli aumenti di capitale resisi necessari per sostenere una crescita che aveva trasformato l’ex Banca Popolare di Asolo e Montebelluna in una delle prime dodici banche italiane. Operazioni effettuate anche dall’altra popolare veneta finita sotto i riflettori in questi mesi, Banca Popolare di Vicenza, dopo che alcune settimane fa il giudice Anna Maria Marra, del Tribunale di Venezia, aveva deciso dovessero ritenerle nulle, accogliendo il ricorso di un imprenditore che si era dichiarato costretto a sottoscrivere una quota degli ultimi aumenti di capitale di Bpvi pena il non ottenimento di un finanziamento per la propria azienda. Queste pratiche sono al vaglio anche della magistrature di Vicenza, ma in questo caso il Tribunale pur avendo messo sotto inchiesta l’ex presidente Gianni Zonin (dimessosi lo scorso 23 novembre), l’ex amministratore delegato Samuele Sorato e due suoi vice, tutti indagati per aggiotaggio e ostacolo all’autorità di vigilanza, non sono stati ritenuti necessari sequestri di alcun genere.

Perché questa differenza di trattamenti visto che si tratta di casi estremamente simili sia quanto a fattispecie di reato sia come danni prodotti ai piccoli azionisti delle due popolari? Tra l’altro nel caso della BpVi la sezione veneta dell’Unione nazionale consumatori ha dichiarato di aver presentato, a partire dall’ottobre 2015, ben 329 denunce penali segnalando violazioni della procedura Mifid da parte delle filiali dell’istituto di credito. I campanelli d’allarme, insomma, non erano mancati ma non sono stati ascoltati, finendo col polverizzare l’investimento di gran parte dei 118 mila soci di BpVi e di quasi 90 mila di Veneto Banca, alcuni dei quali molto famosi come la famiglia Marcegaglia, Roberto Bettega, Bepi Stefanel, Silvio Berlusconi e lo stesso Luca Zaia, presidente della Regione Veneto.

Non che in BpVi mancassero nomi di spicco tra i soci, ma proprio ad alcuni di questi come i fratelli Ravazzolo, Piergiorgio Cattelan, Ambrogio Dalla Rovere e Francesco Rigon, secondo quanto emerso da una relazione depositata il 21 agosto 2015 dall’audit interno a Francesco Iorio (subentrato a Samuele Sorato nel ruolo di amministratore delegato) e poi acquisita agli atti dell’inchiesta della Procura di Vicenza, sarebbero stati concessi anche prima del 2008 “finanziamenti baciati” per supportare “esigenze svuota-fondo”. Finanziamenti poi estesi anche a nuovi clienti primari come il gruppo Degennaro, Bufacchi, Torzilli, piuttosto che il gruppo Marchini, man mano che la rete di BpVi cresceva.

In sostanza la gestione Zonin-Sorato avrebbe tollerato, se non agevolato, la crescita di una “banca nella banca” riservata solo ad un ristretto numero di clienti-amici. Un’ipotesi sufficiente a far estendere le ipotesi di lavoro dei due sostituti procuratori di Vicenza, Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi, all’associazione a delinquere e al falso in bilancio, senza escludere la possibilità che alla fine emergano anche truffa ed estorsione.

Con un piccolo ma importante dettaglio: che per ammissione di Antonino Cappelleri, a capo della procura vicentina dal 2012, le indagini non si concluderanno prima di un anno. Nel frattempo Gianni Zonin, nei cui confronti il fondo Atlante, ora azionista al 99,33% di Bpvi (e al 98% di Veneto Banca), intende presentare, presumibilmente in autunno, una richiesta di danni in solido con gli altri ex vertici dell’istituto, ha avuto tutto il tempo (lo scorso dicembre, circa un mese dopo le dimissioni) di effettuare un aumento di capitale sulle due casseforti di famiglia che controllano la Casa Vinicola Zonin, facendo salire i figli appena sopra il 50%, mantenendo il restante 50%, l’usufrutto sul resto delle azioni e le prerogative da accomandatario.

Questo fino a marzo, quando viste le nubi minacciose all’orizzonte, Zonin con la moglie i tre figli e due testimoni si è presentato dal notaio Rizzi e ha trasferito ai figli sia la propria quota di partecipazione, sia la piena proprietà e il diritto di usufrutto vitalizio, nonché le sue proprietà immobiliari attraverso un “patto di famiglia”. La possibilità che tale patto possa essere revocato a seguito di una successiva causa per danni non è chiara al momento, dato che in alcuni precedenti tale istituto è stato ritenuto un accordo legittimo (e pertanto non revocabile) nonostante chi lo avesse posto in essere fosse già stato citato in causa (mentre Zonin non lo è ancora stato), in quanto avente causa ereditaria ed essendo a titolo oneroso. Andrebbe provato dunque che ci si trovi di fronte a un caso di “consilium fraudis”, ossia che tutti i partecipanti al patto (anche la moglie e i figli dell’imprenditore veneto) conoscessero le sue vicende e il rischio di possibili sequestri conservativi del suo patrimonio. Non difficilissimo da provare, dicono gli addetti ai lavori. 

Forse, anche per evitare tutto questo la Procura di Roma non ha perso tempo nei confronti di Consoli. Resta tuttavia il dubbio iniziale: perché la Procura di Vicenza non ha pensato ancora di procedere analogamente nei confronti dei Gianni Zonin e degli ex vertici BpVi? Non è questione di lana caprina, ma l'istantaneo interrogativo che sorge dopo il provvedimento dei magistrati romani nei confronti di Consoli e delle pratiche anti-vigilanza fotocopia messe in atto a Nordest a soli 50 km di distanza, trattate diversamente in ambito giudiziario. 

Luca Spoldi
Andrea Deugeni