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Economia
Vivendi, Il vizietto italico di Bollorè. Operazioni che fanno male alla Borsa

Facile bacchettare i conflitti d’interesse altrui, più difficile astenersi sui propri: Vincent Bolloré, finanziere bretone da anni tra i soci di controllo di Mediobanca con un 7,9% vincolato al patto di sindacato che governa Piazzetta Cuccia, ha deciso di passare alla cassa facendo rilevare Havas, il colosso della pubblicità francese che fa capo per il 60% al gruppo Bolloré, da Vivendi che ha appena lanciato un’offerta da 2,3 miliardi su tale quota, al prezzo di 9,25 euro per azione, finanziato per cassa.

bollore ape
 

Guarda caso di Vivendi il gruppo Bolloré è il primo azionista col 14,35% (il secondo, il gestore americano BlackRock, ha solo il 5,03%) e ne controlla il Supervisory board, lo stesso Vincent essendo presidente, mentre il figlio Yannik, che di Havas è presidente e Ceo, è consigliere, così come lo è Tarak Ben Ammar imprenditore tunisino attivo nel settore mediatico che in Italia siede nei Cda di Mediaset, di Mediobanca e di Telecom Italia e che negli anni è stato socio di Rupert Murdoch, Leo Kirch e Silvio Berlusconi e consulente, oltre che di Bolloré, del principe saudita Al-Walid bin Talal.

Il conto per Vivendi potrebbe però salire a 4 miliardi, visto che una volta che Havas avrà accettato l’offerta, il gruppo dovrà lanciare un’Offerta pubblica di acquisto sulla restante quota del 40% non detenuta dalla famiglia Bolloré, alle stesse condizioni (l’offerta è stata lanciata a premio dell’8,8% sulle quotazioni di Havas il giorno prima dell’annuncio, ovvero del 12% tenendo conto del dividendo). Contenti i soci di Havas, un po’ meno potrebbero esserlo quelli di Vivendi, visto che Bolloré in pratica rinunciando a 330 milioni di cassa (574 in caso di adesioni pari al 100% all’Opa) ne incasserà 2.300, mettendo le mani su un “tesoretto” che spetterebbe pro quota agli altri azionisti di Vivendi. Per di più in tre anni da quando Bolloré è diventato presidente è passata da avere 11 miliardi di euro di liquidità a 3 miliardi di debiti che si ritroverà al termine dell’operazione.

john elkann ape
 

Un’operazione che rende Bolloré un poco più “italiano”, visto che l’abitudine di controllare intere catene di controllo attraverso una frazione di capitale contraddistingue da sempre il “capitalismo relazionale” del nostro Paese. Si pensi al gruppo Agnelli, che tramite Exor controlla Fiat Chrysler Automobiles (15,3 miliardi di capitalizzazione) col 29,4%, Cnh Industrial (13,3 miliardi di capitalizzazione) col 26,9%, Ferrari (15,7 miliardi di capitalizzazione) col 22,9%. Non solo: di Exor (12,8 miliardi di capitalizzazione) gli eredi dell’Avvocato controllano, tramite la Giovanni Agnelli BV, solo il 52,99%, come dire che con un investimento del valore di 6,8 miliardi controllano il destino di attività del valore di non meno di 44,3 miliardi, beneficiando dunque di una leva pari a 6,5 volte i capitali investiti.

Situazione che ha dato origine a numerose diatribe con i piccoli azionisti ma che è stata applicata da molti altri imprenditori italiani, soprattutto nel caso di operazioni straordinarie come fu la “madre di tutte le Opa” lanciata da Roberto Colaninno e Emilio Gnutti su Telecom Italia. Anche nella “gestione ordinaria” la ricetta ha avuto comunque ampio seguito, valga per tutti l’esempio di Fininvest, holding di famiglia non quotata, che controlla Mediaset (4,3 miliardi di capitalizzazione) col 38,3% del capitale (ma il 39,8% dei diritti di voto), Mondadori Editore (480 milioni di capitalizzazione) col 53,3%, è consocio di controllo, con la famiglia Doris, di Banca Mediolanum (5,4 miliardi di capitalizzazione) col 30,124%, di MolMed (195 milioni di capitalizzazione) col 24,84% e di EI Towers (1,5 miliardi di capitalizzazione), tramite Elettronica Industriale, col 40%. In questo caso dunque investendo meno di 4,2 miliardi di euro l’ex premier italiano controlla attività per quasi 12 miliardi, con una leva pari a 2,8 volte.

(Segue...)

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