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Spettacoli
Musica, Gabriele Ciampi presenta "Hybrid": la musica classica si contamina
Ciampi Gabriele_ ph. Federico Guberti

Gabriele Ciampi compositore e direttore d'orchestra non convenzionale… capelli lunghi: libertà intellettuale e artistica, provocazione o volontà di contaminazione?

Dopo aver formato un’orchestra al femminile con musiciste provenienti da tutto il mondo, con il suo nuovo disco “Hybrid” ci porta in un nuovo “mondo musicale”, una vera provocazione che solo i grandi artisti sanno fare con eleganza e creatività. Un italiano che ha saputo portare nel mondo la sua musica dalla Casa Bianca per Michelle Obama, alla giuria dei Grammy Awards 2018. Di lui sentiremo parlare ancora e a lungo...un gentiluomo della musica che sa “vestirla di un abito nuovo” portandola verso il futuro.

Sarà a Milano il 4 dicembre al Teatro Dal Verme.

La tua è una famiglia di imprenditori costruisce pianoforti, quando hai capito che la musica aveva riservato per te un futuro lontano dall'azienda di famiglia e da Roma?

Noi come Ciampi ci occupiamo di pianoforti dal 1945, mio nonno Mario ha iniziato questa attività che mio padre Silvio mio fratello Matteo e mia mamma Carla continuano a portare avanti. Io ho lavorato con loro per 10 anni poi sono tornato al “mio primo amore” la Musica. Nel 2012 ho avuto la fortuna di essere stato ammesso alla UCLA (Università pubblica di Los Angeles) e mi sono subito trasferito. All’inizio è stato tutto molto surreale, vivere in un mondo così lontano dalle nostre abitudini non è facile…oltre al fatto che Los Angeles è costituita da persone proveniente da tutte le parti del mondo e la diversità culturale è alle base dei rapporti sociali. Questo è stato un grande vantaggio per me perché questa esperienza mi ha permesso di comprendere meglio usi e costumi appartenenti ad altri Paesi e allo stesso tempo di rispettare queste tradizioni (dalla religione al cibo). L’integrazione non è mai facile, devi prima conoscere bene una cultura per poterla apprezzare.

Appena arrivato a Los Angeles ho capito che quello sarebbe stato il mio futuro, una città non bellissima troppo lontana dalla mia Roma ma con un fascino particolare, c’è qualcosa che mi ha catturato fin dal primo giorno, ricordo che dopo una settimana ho chiamato mio padre e gli ho detto “papà credo di rimare qui!” Uno shock per tutti ma forse era l’unico modo per farlo, non sarebbe stato possibile pianificare prima questo cambiamento importante di vita.

Ciampi Gabriele apeGabriele Ciampi
 

Dopo i primi 2 anni difficili devo dire che oggi vivere a Los Angeles è una fortuna, un arricchimento importante per me dal punto di vista socio-culturale. Chiaramente la famiglia, gli amici mancano ma grazie alla mia professione riesco a tornare spesso in Italia per produzioni in studio ed eventi Live.

 

Hai lasciato Roma per Los Angeles, in che modo ritieni che questo abbia influito sul tuo percorso artistico?

L’esperienza americana alla UCLA è stata fondamentale. Credo l’Italia abbia una delle scuole più importanti del mondo dal punto di vista compositivo, i nostri conservatori sono un patrimonio. Quello che manca è un certo tipo di insegnamento che poi ti permettere di lavorare, nel senso di essere pronto ad affrontare la vita lavorativa reale: mi riferisco a produzioni in studio, a gestire musicisti ed orchestre, ad affrontare e risolvere tutte le problematiche legate al poco budget a disposizione rispetto all’impegno da affrontare. La scuola americana è sinonimo di contemporaneità, e questo approccio moderno permette di essere pronti da un punto di vista professionale oltre che artistico. Io ho avuto la fortuna di aver studiato in entrambi i Paesi, ho sperimentato la tradizione accademica e rigida tipica dei nostri Conservatori e un approccio più moderno tipico della scuola americana. Il risultato è stato una crescita artistica importante che mi ha permesso di lavorare anche come Produttore in studio di registrazione, cosa che senza l’esperienza americana non sarei riuscito a portare avanti. La composizione è direttamente proporzionale allo studio, se si smette di studiare si blocca l’evoluzione musicale e quindi il processo creativo. Da questo continuo ricercare nascono tante idee, alcune delle quali prendono forma e si trasformano in musica da ascoltare. Più stili ascoltiamo e studiamo migliore sarà la qualità della musica prodotta.

“Hybrid” il tuo nuovo album, come si deduce dall’etimologia, è un bel connubio, un crossover tra la musica classica ed altri generi musicali contemporanei quali l’Hiphop. Come ti è venuta l’idea?

La ricerca è alla base della composizione. Hybrid è una provocazione, un esperimento un modo per andare oltre al concetto stesso di crossover. Premesso che non credo ci sia più niente da inventare (musicalmente parlando) credo sia necessario per un artista provare a produrre qualcosa di interessante. Chi viene dal mondo classico (incluso me) spesso ignora altri generi musicali mentre la sperimentazione presuppone la conoscenza approfondita: sono stato fortunato a potermi confrontare con artisti legati alla Defjam Recordings che mi hanno fatto capire che l’Hiphop è cultura: una fase storica importante (anni ’90) in cui la protesta sociale veniva raccontata in musica. Grazie alle registrazioni di allora che ho potuto ascoltare e dopo uno studio approfondito di questo affascinante genere ho voluto fare un esperimento: uno stile così “vuoto” armonicamente potrebbe interfacciarsi con una scrittura ricca come quella sinfonica? Secondo me sì, c’è lo spazio giusto per questa unione. Un vuoto armonico generato da un brano hiphop può essere riempito da 1 o più strumenti orchestrali: un beat hiphop abbinato all’orchestrazione rende più completo il brano stesso. Sembra assurdo ma questi 2 generi contrapposti non sono atro che la stessa faccia di un’unica medaglia.

I brani del nuovo disco Hybrid e Reflections rappresentano questo esperimento artistico che spero possa continuare nel tempo non soltanto nelle registrazioni ma anche nei concerti.

Chiaramente come un musicista classico dovrebbe studiare altri generi prima di sperimentare allo stesso modo i rapper italiani di oggi dovrebbero studiare anche la musica classica prima di affrontare un genere come quello Hiphop così lontano dalla nostra cultura.

 

Per questo progetto avrai un’orchestra ​al femminile, eccellenti musiciste provenienti da tutto il mondo, come nasce questo progetto di orchestra​?

Anche questa idea nasce da un esperimento. Durante la registrazione di Hybrid ho avuto modo di collaborare con una musicista colombiana molto in gamba (Carolina Leon Paez) che oltre essere violista è anche Direttore d’orchestra. A lei ho affidato la direzione dell’Adagio per solo archi, un brano dal sound cinematico e complesso armonicamente. Carolina ha voluto dare una sua interpretazione che mi è piaciuta molto e abbiamo avuto un bel confronto artistico: dal confronto, magari anche acceso nascono sempre idee importanti. Per me la creatività femminile è qualcosa di eccezionale e quindi ho voluto riproporre dal vivo questo esperimento in studio. I miei due concerti in Italia Milano 4 dicembre e Roma 1 gennaio saranno aperti da Carolina che dirigerà un brano. L’orchestra al femminile nasce dalla volontà di dare spazio e responsabilità alle donne musiciste,

ovviamente ci saremo anche noi “maschietti” nei Live ma non dall’inizio; vorrei ci fossero due impronte diverse per questi concerti, due direttori che lavorano in modo diverso con l’orchestra trasmettendo emozioni diverse, sarebbe bello vedere spesso l’alternanza di direttori uomo/donna sul podio durante un concerto sicuramente sarebbe qualcosa di artisticamente interessante oltre ad essere un bel segnale di cambiamento.

 

Il direttore d'orchestra è al centro della scena: tu hai fatto un passo indietro, cedendo la bacchetta ad un direttore donna, non è una cosa da poco​, ce ne vuoi parlare?

Dobbiamo imparare a riconoscere quando qualcosa ci colpisce e ci trasmette emozione, qualcosa che non abbiamo creato noi. Dall’interpretazione di Carolina in studio ho capito che aveva e ha qualcosa da dire, vorrei parlasse con la mia musica; per me la musica non è altro che il mio linguaggio, l’unico modo che ho per comunicare un mio stato d’animo. Mi piacerebbe ascoltare un mio brano diretto da una donna questi 2 concerti sono una bella occasione. Sono sicuro che dal punto di vista creativo ci sarà un quid in più e non ho problemi a cedere la bacchetta in apertura. Vorrei solo che questo esperimento si ripetesse anche nell’ambiente classico/accademico, ci sono orchestre al femminile che si stanno formando ma i direttori sono sempre uomini. Mi piacerebbe vedere più alternanza sul podio anche per ascoltare un’interpretazione diversa di un compositore: dobbiamo ricordarci però che il Direttore interpreta, non crea un brano, a volte ci dimentichiamo dei compositori senza i quali non ci sarebbe alcuna musica.

 

Sei stato l’unico italiano nella giuria ai Grammy​ ​Awards 2018, hai suonato per Michelle Obama alla Casa Bianca, hai incontrato Papa Francesco: ti sei sentito di rappresentare l'Italia in quei momenti così importanti per la tua carriera?

Fiero di essere italiano. Più vivo in America più mi rendo conto di quanto sia positiva l’immagine che gli altri hanno di noi…artisticamente siamo un grande Paese, un esempio per tutti. Ho avuto la fortuna di vivere queste 2 esperienze all’estero (Casa Bianca e Grammy Awards) e rappresentare l’Italia è stata una bella responsabilità. Spero di vedere presto anche altri giovani musicisti italiani varcare la soglia della Casa Bianca perché si tratta di una di quelle emozioni che ti porti dentro per tutta la vita; anche Papa Francesco è stata un’esperienza emotivamente molto forte, ho visto l’uomo prima di tutto una persona che si mette al tuo livello e ti incoraggia ad andare avanti a testa bassa e ad affrontare i problemi che la vita ti presenta.

Peccato che la musica italiana stia perdendo la sua identità, i giovani musicisti che all’improvviso ascoltiamo in radio o esplodono sui social purtroppo non fanno altro che “scopiazzare” tutto il Made in USA e questo mi preoccupa perché la musica italiana è conosciuta in tutto il mondo e ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire essere musicista italiano all’estero: rispettato, invidiato e artisticamente imitato. Nelle arti siamo veramente speciali.

 

Sei un artista anticonvenzionale ed innovativo, dove ti porterà questa tua predisposizione?

Sono per la continua ricerca, per lo studio senza fine. Questo mi porta a scontrarmi con la realtà e a sperimentare sempre. Il rischio di ogni sperimentazione è quello di creare qualcosa di non interessante ma solo chi non rischia non sbaglia e non lascerà mai il segno. Io vorrei soltanto aprire una piccola strada, l’idea di abbinare generi opposti non è impossibile. Vedo il futuro della musica nella contaminazione, in un ritorno al passato che rende possibile il futuro…in fondo nell’era degli mp3, streaming, ecc sono tornati di moda i dischi in vinile…quindi “back to the future”.

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