Roberta Marten al di là di qualunque “Imbarazzismo”. L'intervista - Affaritaliani.it

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Roberta Marten al di là di qualunque “Imbarazzismo”. L'intervista

Roberta Marten con il brano “Imbarazzismo” inciso con Mauro Coruzzi, Platinette, con leggerezza affronta un tema attuale e piuttosto “ pesante”

Roberta Marten al di là di qualunque “Imbarazzismo”

Roberta Marten con il brano “Imbarazzismo” inciso con Mauro Coruzzi, Platinette, con leggerezza affronta un tema attuale e piuttosto “ pesante”. Oggi Roberta ci racconta come Roberto Martinazzo, che ancora vive in lei, sia stato determinante nella ricerca della propria identità. Ciò che sorprende di lei è la positività, la delicatezza con la quale sa affrontare ricordi e ferite permettendoci di parlare di disforia di genere senza tabù o inutili giri di parole. Roberta sottolinea come sia importante parlarne per non lasciare soli i ragazzi e le loro famiglie, regalandoci l’opportunità di  comprendere e accettare l’altro.    

La tua carriera artistica ti ha visto debuttare come Roberto, o meglio, Roby Marten. Oggi che sei Roberta Marten, com’è cambiato il tuo lavoro? 
Diventare finalmente Roberta, è stato essenziale anche per la mia carriera. E’ innegabile che per il mondo della discografia, l’immagine sia importante. Ci sono moltissimi cantanti omosessuali, che nonostante tutto, mostrano una mascolinità forte capace di attirare folle di ragazzine ai propri concerti. Io ho sempre avuto una voce poco maschia, che oggi sono felice di avere, ma come Roberto, non era per niente d’aiuto. La sensazione che provavo era di essere chiuso in un bozzolo, sospeso in una dimensione che non mi permetteva di esprimermi fino in fondo. Ricordo che nel 2010 per il video di “Shattered Dreams”, canzone che fu per diversi mesi la sigla dell’Eredità di Carlo Conti, fu scelto un attore sudamericano molto macho, dovendomi accontentare di essere l’io narrante, perché era ciò che il mercato voleva. La transizione mi ha permesso di vivere finalmente fuori da quel bozzolo, regalandomi la gioia di volare. Dopo essere stata prigioniera di un corpo che non mi apparteneva, ho fermato tutto per ripartire come donna e come artista. Anche se avessi fatto un altro mestiere, avrei vissuto a metà, non essendo né carne né pesce, trovando in qualunque ambiente grosse difficoltà: essere se stessi è il raggiungimento più importante, per me e per chiunque.

Potendo tornare indietro c’è qualcosa che non rifaresti?
Potendo riavvolgere la pellicola, vorrei cancellare il periodo in cui il travestirmi da donna mi sembrava l’unica via percorribile. Questa fase è stata la più triste, la più buia: ero molto fragile e alla mercé di persone più fragili e confuse di me. Sono stati due anni terribili, che oggi posso guardare con un’altra obiettività. Chi soffre di disforia di genere, matura a poco a poco la consapevolezza di avere un corpo che non gli appartiene; il travestitismo è un passaggio obbligato, stretto e faticoso ma imprescindibile. Prima di scegliere di diventare donna ho dovuto come in una sorta di “Real life”, provare quell’abito che avrei scelto per la vita. 

Oggi ti senti amata?
Oggi mi sento rispettata e il rispetto viene prima dell’amore. Ho vissuto un’adolescenza complicata, durante la quale spesso cercavo di non dare nell’occhio, vivendo ai margini. Il mio rapporto con i coetanei era controverso, infatti, molto di loro cercavano la mia compagnia per dare sfogo alle prime pulsioni trovando più semplice sperimentare con chi fosse, di fatto, simile a loro. Per sfuggire, m’isolavo sempre di più vivendo, in totale solitudine. Oggi sentirmi a mio agio, in qualunque momento e accettata per quello che sono, mi fa sentire amata. Non può esserci amore senza rispetto e i numeri delle violenze che le donne subiscono, ne è la triste conferma.

Parlare senza giri di parole di disforia, è diventata la tua missione?
Credo di avere la responsabilità e il dovere di farlo, so cosa significhi e non posso voltarmi dall’altra parte. I tempi sono cambiati, si è sdoganata l’omosessualità e oggi personaggi pubblici e dello spettacolo, uno per tutti Tiziano Ferro, ne parlano senza nessuna vergogna. La disforia di genere, purtroppo è ancora considerata una malattia. Oggi il mondo intero combatte un nemico invisibile, ma il Covid-19 è la malattia del secolo non la disforia! La famiglia non può essere lasciata sola e i ragazzi devono essere aiutati, sostenuti. Nel mio piccolo, credo che mettere a disposizione la mia esperienza condita con un po’ d’ironia, possa essere di aiuto.

Lo stato italiano ha certificato che il 1 febbraio 1981 è nata Roberta Virginia Martinazzo, ma Roberto ha fatto il militare?
Bella domanda! Ho fatto servizio civile ma devo confessare che la visita militare potrebbe diventare una sceneggiatura molto divertente se riesci a immaginarmi in mezzo a tutti quei maschi! Ci sono tanti episodi che varrebbe la pena di raccontare; ricordo, per esempio, la gioia di quando al supermercato un cassiere mi ha chiamato per la prima volta “signorina”, o ultimamente quando andando a ritirare un premio assegnatomi da una compagnia telefonica, l’addetto mi dice che è tutto a posto ma deve presentarsi il titolare e quindi Roberto Martinazzo; io sorrido, dicendo che sono io e che nel mio caso non è cambiata la compagnia telefonica ma altro!