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Esteri
Cina, meritocrazia comunista? Ecco la verità. Analisi

 


In questi giorni si chiude il 19mo congresso del partito comunista cinese (PCC) e i media si sono concentrati sulla leadership di  Xi Jinping. Poco si è parlato  della selezione del comitato permanente del partito, le  venti  persone che governeranno il paese per i prossimi 5 anni e in generale di tutti i dirigenti del partito, i 2000 rappresentanti dei 90 milioni di cinesi iscritti al PCC  e i 300 tra loro che siedono nel comitato centrale.

Osservatori informati sostengono che tale processo è diventato estremamente meritocratico. Se alla fine del secolo scorso i laureati cinesi snobbavano il partito, oggi nelle università’ di elite come la Tsinghua, i migliori laureati si fanno una concorrenza spietata per entrarci. E anche l’avanzamento di carriera sembra un processo meritocratico. Li Yuanchao, ministro del dipartimento organizzazione del comitato centrale ha raccontato come viene eletto il suo segretario generale. I 10 candidati con più’ nomine fanno un  esame molto difficile, i cui risultati e documentazione sono resi pubblici. I 5 candidati che superano l’esame sono poi interrogati da un panel composto da Ministri, viceministri e professori universitari. I tre di essi con il  maggior punteggio vengono  poi “ispezionati“ da un team che indaga sulla loro performance e sulle loro qualità personali. I due finalisti vengono  valutati da 12 ministri, ognuno con un voto e sono richiesti 8 voti per la nomina. Tutte le promozioni del PCC avvengono con processi  più o meno simili, ai livelli più bassi conta di più il rapporto con i cittadini (una specie di democrazia), ma man mano che si sale a livelli più alti il ”merito” è definito come razionalità , intelligenza, pragmatismo ed etica (la lotta alla corruzione rampante e’ stata la priorità di Xi).

Il curriculum di XI Jinxing è emblematico: pur avendo gestito un’area di 120 milioni di persone nelle provincie di Fujianm, Zhejang e Shanghai e una economia più grande di quella indiana, ha dovuto fare anticamera per 5 anni come vicepresidente del partito per imparare i problemi della difesa e della politica internazionale. Non solo, ma (teoricamente) Xi  ha davanti a se solo un altro term di 5 anni, sapendo che deve iniziare a preparare la sua successione.

Secondo gli esperti, la meritocrazia è sempre stata presente nella cultura politica cinese. Confucio riteneva che una selezione fosse necessaria perchè non tutti avevano la abilità e i valori morali per prendere decisioni nell’interesse del popolo; dal 600 al 1900, i Mandarini ( funzionari pubblici) furono selezionati in base ai loro meriti attraverso esami imperiali estremamente rigorosi. Dopo Mao, i dirigenti cinesi hanno deciso di tornare agli antichi valori della meritocrazia nella politica e negli ultimi 30 anni, migliaia di loro hanno viaggiato a Singapore per studiare il modello di meritocrazia creato da Lee Huan Kiew e adattarlo a una realtà immensamente più grande.

Ovviamente non è tutto oro ciò che luccica,  nepotismo, lotte tra fazioni (“cricche e gang”) e corruzione sono ancora ben presenti, ma l’impatto della meritocrazia cinese sulle politiche economiche si vede: 200 milioni di persone sono state tolte dalla povertà.

Diversa è la situazione nelle democrazie  occidentali dove i politici sono screditati quasi ovunque, anche prima dell’avvento di Donald Trump. Chi prende voti non sempre lo fa perchè è considerato più capace e onesto di altri, ma  perchè fa promesse irrealizzabili o si appella ai pregiudizi e all’ignoranza dei votanti. Eppure, anche se sempre meno visibili, i vantaggi della democrazia continuano ad esistere perché, in teoria, si  permette  al popolo di correggere gli abusi commessi dagli eletti, cosa non possibile in Cina e a Singapore .

I politologi del mondo occidentale da tempo si pongono il problema se democrazia e meritocrazia siano conciliabili nel senso che in una democrazia è più difficile la selezione per merito dei politici che in  dittature quali quella cinese , ma non sono ancora giunti a molte conclusioni come dimostrato dal fatto che esistono centinaia di saggi sulla teoria e pratica della democrazia, ma non uno sulla meritocrazia in politica.

Da noi il tema della meritocrazia in politica è stato affrontato (indirettamente) negli eterni dibattiti sulla legge elettorale, quando si discute se i parlamentari debbano essere indicati dal vertice del partito o scelti dagli elettori tramite le preferenze. Queste ultime sono appoggiate dagli opinionisti e dai media convinti che sono  più’ meritocratiche, ma  esistono seri dubbi che lo siano veramente: al di là di poche figure di leader, la maggioranza dei parlamentari si fa conoscere agli elettori soprattutto per le sue attivita’ clientelari. E’ per questa ragione che gli italiani votarono in massa un referendum per abolire le preferenze nel 1991. Pare che se lo siano dimenticati tutti.

La conclusione è che la meritocrazia nella politica in Italia la può fare solo il partito e non la legge elettorale che sarà sempre un pastrocchio il cui obbiettivo resta solo quello di cercare di ottenere un minimo di governabilità del paese. Purtroppo è improbabile che alle prossime elezioni i partiti si presenteranno non solo su “programmi“(ai quali credono in pochi) ma anche con candidati presentabili sul fronte del merito.

Ma, se la nostra democrazia non può copiare la meritocrazia politica cinese nella selezione dei politici, può farlo nella selezione dei dirigenti della pubblica amministrazione (PA). Mentre  in Cina  i politici sono de-facto i dirigenti della PA perche’ non esiste un parlamento, da noi si  e’ fatto il contrario, “politicizzando” i dirigenti della PA. Innanzitutto creando una classe ipertrofica di politici locali con il  federalismo scellerato delle regioni (che non hanno nulla a che fare con le provincie cinesi -molte sono più’ grandi dell’Italia), per dare indirizzi regionali a politiche come l’ambiente e l’energia che dovrebbero essere gestite a livello europeo. Per avere più meritocrazia nella PA basterebbe ridimensionare la politica a livello regionale e lasciare pochi funzionari competenti sul territorio. Abbiamo poi politicizzato le nomine dei dirigenti della PA copiando il modello anglosassone dello spoil system che permette nei sei mesi successivi alla nomina di un nuovo governo di sostituire i vertici della PA, ma ci siamo vergognati di applicarlo. Potremmo forse iniziare a  sfruttarlo, magari valutandoli prima con processi robusti simili a quelli del PCC.

da meritocrazia.corriere.it

Tags:
meritorcrazia comunistacomunisti cinesicomunismo cina





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