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Esteri
Erdogan è un problema. Per i turchi

Non c’è dubbio che tutti saremmo lieti di constatare il quotidiano e benefico intervento della Divina Provvidenza. O anche – più semplicemente – una forma di “giustizia” del genere di quella che si vede quotidianamente nei film, dove i pochi, buoni ma in condizione d’inferiorità, la vincono sui molti, che sono più forti ma sono cattivi. Nella realtà le cose non vanno secondo “giustizia”, e seguono implacabilmente la legge di causalità. Se il cattivo è più forte, vince eccome. A volte addirittura vince anche se è il più debole, perché usa mezzi sleali.

Tutto ciò vale anche per la politica internazionale. La Storia non è guidata da nessuno, e non obbedisce nemmeno alle convinzioni vagamente panglossiane per cui si andrà sempre verso il meglio. Chi fosse stato tollerante alla fine del ‘400, avrebbe potuto pensare che la cacciata degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, fosse il massimo cui si potesse giungere, in materia di fanatismo e di antisemitismo. E invece, quasi cinque secoli dopo - duecento anni dopo l’Illuminismo - abbiamo avuto lo sterminio degli ebrei.

Ma quella stessa Storia che è indifferente alla morale e non guida la realtà verso il meglio, proprio perché obbedisce alla legga di causalità, è spietata nei confronti di chi sbaglia. Hitler, per esempio, avrebbe avuto un ben altro destino, se non avesse commesso troppi errori. Per cominciare, quello di attaccare l’Unione Sovietica, praticamente senza ragione. La Storia gli avrebbe perfino perdonato lo sterminio degli ebrei, se non avesse commesso l’errore di voler guidare militarmente la guerra contro il parere dei suoi generali, o di cedere all’impulso dell’orgoglio – al costo della vita di decine di migliaia di giovani tedeschi – a Stalingrado.

Ai tiranni è permesso andare contro la morale, ma non contro la logica. La morale è disarmata, il principio di causalità non ha mai perso una battaglia o una guerra. Ma purtroppo i governanti sono soltanto esseri umani ed hanno, come tutti, la difficoltà di ben capire la realtà in cui sono immersi. Per non parlare della distinzione fra mosse giuste e mosse sbagliate.

Il caso di Erdogan, in questo senso, si rivelerà forse esemplare. La Turchia kemalista, percentualmente minoritaria, è riuscita a dominare il Paese per ottant’anni; la Turchia confessionale, oggi maggioritaria, avrà altrettanto successo? Può darsi che i turchi, dopo ottant’anni della democrazia disegnata da Atatürk, si siano talmente abituati ai suoi vantaggi, da considerarli ovvi e da avere nostalgia del Sultano. Mentre poi, quando vedranno gli svantaggi della Sublime Porta, potrebbero anche controreagire.

Il tempo dell’attualità è così breve, che ciò che è avvenuto un anno fa sembra lontano. Ma il tempo della vita umana ha un altro metro. Ero un bambino, quando finì la Seconda Guerra Mondiale, e mi stupii che, caduto il fascismo, in Italia ci fossero tanti politici antifascisti – noti agli adulti per giunta – in grado di formare un nuovo governo e di guidare l’Italia. Come se l’epoca di Mussolini fosse stata soltanto una parentesi fra il Paese di prima e quello di dopo. Semplicemente perché io non avevo vissuto nulla che appartenesse a prima del fascismo. Non sapevo, nella mia ingenuità, che vent’anni, nella vita di un uomo normalmente longevo, sono tutt’altro che l’eternità. Chi in Francia aveva ottant’anni nel 1840 aveva vissuto quasi trent’anni sotto la monarchia assoluta, l’intera rivoluzione francese e venticinque anni di Restaurazione. Questo spiega come siano possibili certi ritorni storici. I ricordi delle persone anziane, spesso le più influenti nella nazione, affondano le loro radici in fatti ed esperienze che i giovani nemmeno hanno conosciuto.

La partita di Erdogan è dunque più complicata di quanto non si pensi. I turchi attuali, anche se non sanno chiaramente né chi sono né che cosa vogliono, per ottant’anni sono vissuti, tutti, sotto l’ombra e la tutela di Atatürk. Non hanno mai conosciuto altro. Oggi sono orfani e devono vivere da adulti, decidendo della loro vita e del loro futuro. E non possiamo dimenticare che, fra cinquant’anni, le turche ricorderanno che prima di averne venti andavano in giro in minigonna. Fra cinquant’anni tutti ricorderanno ancora che cos’è la libertà di stampa, il potere laico, la tolleranza religiosa. Perché l’avranno vissuta, secondo l’età, da dieci a trent’anni. Dunque i turchi attuali ed Erdogan scommettono su una formula di governo che, se vuole durare, è condannata ad avere un notevole successo. Perché il paragone, per molti decenni, sarà ancora con il modello precedente. Nel 1789 i francesi fecero una rivoluzione mirando a realizzare ciò di cui si era sognato nei salotti di Parigi; nel caso della Turchia, una restaurazione potrebbe mirare a ricuperare ciò che si è conosciuto per esperienza.

Può darsi che Erdogan rappresenti un grande problema per l’Occidente, ma certamente rappresenta un problema ancora più grande per la Turchia.

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Tags:
turchia erdogan





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