Guerra contro l’Isis, un’Italia senza oneri e onori
di Ernesto Vergani
Sorprende che in Italia non ci sia scontro politico e i media silenzino la possibilità che l’Italia partecipi attivamente alla coalizione militare contro l’Isis. Gli aerei britannici hanno iniziato a bombardare in Siria, dopo che il premier David Cameron ha ottenuto il via libera ai Comuni. La Germania ha inviato tornado da ricognizione e dovrebbe spedire truppe di terra. Forze speciali Usa arriveranno. Già Francia, colpita al cuore dall’Isis il 13 novembre, e Russia sono impegnate. Persino Belgio e Olanda.
L’Italia si tiene fuori sostenendo che prima vuol sapere che cosa succederà dopo. Che non bisogna ripetere quanto accaduto con l’eliminazione di Gheddafi nel 2001, che ha determinato l’attuale situazione di anarchia. La giustificazione non è (incredibilmente) quella buonista, del dialogo e dell’arricchimento reciproco tra culture diverse. Ragionamento che non regge di fronte a chi si arroga il diritto di tagliare teste, uccidere a mitragliate nelle capitali occidentali, usare donne come schiave sessuali, volere islamizzare e annientare la civiltà democratica occidentale. Forse l’Italia non ha chiaro che le conferenze di pace si fanno dopo, non prima delle guerre.
Di fronte a Hitler e all’orrore dell’olocausto, l’occidente si coalizzò e passò in secondo piano quale sarebbe stato il futuro. E non è un caso che la Germania si mobiliti di fronte a un mostro come l’Isis, che ha analogie col suo passato (Hitler). Nella storia d’Italia attendismo e tatticismo in prossimità delle guerre non hanno mai pagato e non pagheranno neanche questa volta. Essere autorevoli in politica estera significa essere parte delle grandi coalizioni. Facile imitare Usa e Regno Unito solo nelle scelte economiche liberiste. Se la causa dell’astensionismo è la paura di subire attentati e di non essere pronti a difendersi sul territorio, è un altro discorso. Essere un grande paese in politica estera significa avere onori e oneri.