Iraq al voto tra violenza e instabilità. Tutti gli errori di al-Maliki. L'analisi
L’Iraq che si presenta alle urne il 30 aprile prossimo è sempre più segnato da una crescente instabilità interna. La fragile democrazia irachena non è riuscita a risolvere i problemi di lungo periodo che ne hanno caratterizzato il difficile processo di genesi, e che hanno afflitto il paese nei lunghi anni seguiti alla caduta di Saddam Hussein. Il primo ministro Nuri al-Maliki, in corsa per un nuovo mandato, si presenta con un’agenda elettorale nazionalista e formalmente non settaria. Tuttavia, nel corso degli ultimi quattro anni, al-Maliki non è riuscito ad arginare l’escalation di violenza che ha colpito nuovamente il paese, ed è stato accusato dai propri oppositori di derive autoritarie e di favorire la polarizzazione dell’Iraq lungo linee etno-religiose. D’altro canto l’opposizione rimane estremamente frammentata e organizzata sostanzialmente su base settaria. A destabilizzare ulteriormente il quadro politico si aggiungono il protrarsi del conflitto siriano, le cui ricadute sullo scenario di sicurezza iracheno appaiono sempre più pesanti, e le divisioni profonde che separano Baghdad dal governo regionale curdo. In ambito economico, la crescita degli ultimi anni, spinta dalla graduale ripresa del settore petrolifero, non è riuscita ad alleviare i mali che affliggono l’economia irachena: in primis, l’elevata disoccupazione e una diffusa corruzione. Alla luce di tali dinamiche, sembra sempre più difficile addivenire a un reale, quanto necessario, processo di riconciliazione nazionale, che permetterebbe all’Iraq di superare le divisioni settarie e rafforzare un processo di ricostruzione nazionale mai veramente decollato.