Italiani rapiti in Libia vicino l'aeroporto. "Tolta la scorta da pochi giorni"
Ecco cosa raccontano i colleghi rientrati in Italia sulla vicenda dei due tecnici rapiti
"Li hanno fermati in mezzo alla strada, nel deserto. Probabilmente hanno visto un'auto ferma e hanno rallentato pensando fosse in panne...". A raccontare l'episodio con cui Bruno Cacace e Danilo Calonego, i due italiani rapiri ieri in LIbia, è Pier Luca Racca, che per dieci anni ha lavorato nel Paese sudafricano, anche al cantiere dell'aeroporto di Ghat, e che conosce i due italiani rapiti con i quali ha anche lavorato. "Ho parlato con un nostro referente libico, è stato lui a raccontarmi queste cose", spiega l'uomo, che nel 2014 è tornato a vivere a Mondovi', dove ora gestisce una edicola. "In Libia non era piu' come una volta - spiega - così dopo dieci anni abbiamo deciso di tornare a casa. Ho provato a chiamare alcuni colleghi che sono ancora la', ma il telefono neppure squilla...".
Fonti vicine all'azienda di Con.I.Cos di Mondovì raccontano poi che Cacace e Calonego avevano sempre avuto una scorta armata, ma negli ultimi giorni gli era stata tolta. Non si conosce il motivo per cui si sia deciso di togliere l'appoggio di guardie armate ai tecnici, ma sembra che la scelta sia stata fatta perchè la zona veniva ormai ritenuta sicura. Intanto arrivavano le prime reazioni dei familiari di uno dei rapiti, Bruno Cacace. "Potete immaginare come mi sento, non so nemmeno più come mi chiamo" dice la sorella Ileana. E' stata una notte di angoscia a villa Primula, la casa a due piani di Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, dove vive la famiglia di Cacace. Nell'abitazione ci sono anche l'anziana madre, Maria Margherita Forneris e il fratello gemello del tecnico della Con.I.Cos.,Claudio.
"Il loro dolore è il nostro", dice il sindaco del paese, Gian Paolo Beretta, che questa mattina si è recato di buon ora a far visita alla famiglia Cacace. "Conosco bene Bruno e tutti i suoi parenti - aggiunge il primo cittadino -. Siamo una piccola comunità e ci conosciamo tutti. Bruno lavora in Libia da molti anni, conosce la lingua e la cultura di quei posti e spero che questo l'aiuti a tornare presto".