Esteri
Meloni negli Usa da Trump per trattare sui dazi, dal gas al digitale: le carte che si giocherà la premier per ottenere più flessibilità
La premier Meloni è pronta per partire per gli Usa: con Trump dovrà trattare su dazi, riarmo e spese della difesa. Una missione "insidiosa", ma che punta di portare a casa nel migliore dei modi

Donald Trump e Giorgia Meloni
Il retroscena sul viaggio di Meloni negli Usa
Chi la conosce bene, dice di averla vista tranquilla, in questi giorni (ieri alla cerimonia per la consegna dei premi Leonardo a Villa Madama, ci ha scherzato anche sopra), malgrado la forte pressione che non solo in Italia, ma soprattutto in Europa, c’è su di lei, in vista di quello che si preannuncia come forse il più importante incontro a livello internazionale di questi primi due anni e mezzo di governo.
E questa tranquillità da parte di Giorgia Meloni, nasce dalla consapevolezza, dicono fonti autorevoli a Palazzo Chigi, che lei in un confronto giocato su più piani con il tycoon americano, ha le sue buone carte da giocarsi. “Incontro difficile e ricco di insidie” lo ha definito il “Mazzarino” della Meloni, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, alla presentazione del libro di Sallusti ieri sera a Roma. E non si tratta di un particolare da sottovalutare, visto la rarità delle preziose esternazioni del braccio destro della Meloni, che, non a caso, ha detto anche che, anche se non esiste nessun mandato europeo per la premier (così sistema in un colpo solo opposizioni e alleati un po’ troppo chiacchieroni) i rapporti personali contano, e che quindi anche altri leader guardano con speranza a questa missione.
La partita è talmente complicata per l'Unione europea, che secondo autorevoli fonti della commissione, a Bruxelles ripongono molte delle loro speranze di una risoluzione delle controversie legate ai dazi americani, proprio nella missione della Meloni. Persino la bibbia della capitale belga, Politico, ammette che moltissime speranze europee sono riposte proprio nella Meloni. E anche l’atteggiamento di Parigi, inizialmente un po' critico e scettico sulla utilità del viaggio di Meloni, ora sembra stia radicalmente cambiando.
“Avere l’attenzione di Trump è una risorsa per l’intera Unione Europea”, ha affermato un funzionario italiano che lavoro alla commissione, sottolineando le “affinità ideologiche di Meloni con il mondo della politica conservatrice di destra americana”. Una Meloni un po’ in stile berlusconiano, almeno per una volta e con tutti i naturali ed ovvi distinguo del caso.
I viaggi del generosissimo commissario al commercio Maros Sefcovic, d'altra parte, che da giorni sta facendo la spola tra Bruxelles e Washington, sono stati inconcludenti. L'amministrazione Usa sembra, infatti, avere anche rifiutato la proposta di zero dazi reciproci (che era quello a cui sembrava aspirare proprio la Meloni dal suo incontro con Trump) che la commissione pareva intenzionata a mettere sul piatto della trattativa. “Il viaggio di Meloni a Washington, in questo momento, è un segnale importante", ha affermato Johann Wadephul, dei Cristiano-Democratici di Merz "Il primo ministro italiano ha un buon rapporto con il presidente americano Trump, che ora può mettere al servizio dell’Europa “.
Ecco allora che pare inevitabile che di fronte ad una situazione così complicata e in continua evoluzione, anche i rapporti umani, che continuano ad essere improntati alla stima, assicurano fonti dell'amministrazione americana e la capacità di mediazione di cui la premier italiana in più di un'occasione ha dimostrata di avere, avranno il loro peso.
A differenza di altri leader europei, Meloni ritiene che Trump sia ancora ragionevole e che le sue minacce commerciali siano più che altro che altro delle mosse negoziali, come d’altra parte sembrerebbe dimostrare la pausa di 90 giorni ai dazi europei, decisa una settimana fa. Meloni allo stesso tempo però è convinta di potere ricevere rassicurazioni se non proprio concessioni da Trump, sul tema dei dazi e anche su quello del riarmo. Due punti che sono chiaramente una faccia della stessa medaglia. Ma su cui esistono margini di trattativa. Qualcosa bisognerà pure concedere, dicono a Palazzo Chigi. Magari promettendo più acquisti di gas liquefatto americano, malgrado le proteste di chi a sinistra afferma che costerebbe il doppio ( cosa che è vera ma solo in parte) di quello algerino o qatariota (sulle cui forniture le stesse sinistre protestavano per il fatto che si trattava di paesi non democratici, quando si dice a volte delle strumentalizzazioni politiche), o magari assicurando quell’aumento nella spesa militare, che da decenni tutti i presidenti americani, a cominciare dal tanto osannato dalle sinistre Barack Obama, chiedono con insistenza agli alleati europea.
O magari avanzare qualche proposta, in merito ad una minore rigidità da parte europea sulle norme che regolano il digitale, (anche di questo la Meloni avrebbe discusso nelle diverse telefonate intercorse in questi giorni con la Von der Leyen). Fonti vicine alla commissione fanno sapere che malgrado le speranze che Meloni possa tornare con un accordo pieno siano comunque scarse, si confida almeno nel fatto che lei possa svolgere un ruolo da esploratrice per tastare il terreno e gettare le basi per futuri negoziati. E questo non sarebbe poco, viste le premesse. Ma questo è un primo tavolo su cui giocherà la premier, che ha comunque nei suoi piani anche quello di tutelare comunque gli interessi nazionali.
Perché, se è certamente vero, come dice sempre Fazzolari, che la Meloni andrà a tutelare gli interessi occidentali e anche vero che però non potrà non dimenticare che, con quasi 40 miliardi di euro, il surplus commerciale dell'Italia con gli Stati Uniti è il terzo più grande tra i paesi dell'UE, dopo Germania e Irlanda. Non sorprende che Meloni sia sotto pressione da parte degli esportatori italiani che temono che i dazi siano in colpo tremendo per un mercato importante come quello a stelle strisce. Insomma, Giorgia Meloni dovrà essere abile a negoziare su più fronti e soprattutto dovrà essere assai paziente ed attenta a non urtare troppo la suscettibilità del ciclone Trump, ma in questo lei, scherzano a Palazzo Chigi, ci avrebbe ormai fatto ampiamente il callo, abituata a fare i conti con le bizze del suo scomodo alleato Matteo Salvini, fatte tutte le debite proporzioni del caso ovviamente.