Ecco come estirpare il cancro jihadista in Europa
di Antonella Colonna Vilasi*
L'attuale cronaca degli ultimi fatti di Parigi dimostra che le azioni armate dei giorni scorsi non sono frutto di lupi solitari o schegge impazzite, ma organizzate da rappresentanti di una nuova leadership strutturata, preparata militarmente ed in grado di gestire in maniera coordinata azioni eversive articolate ed impegnate su più fronti.
I fratelli Kouachi che hanno attuato il massacro nella redazione parigina della rivista satirica Charlie Hebdo ed Amedy C. che ha ucciso poco dopo a Montrouge la poliziotta parigina, ed in seguito si è barricato nel negozio kosher a Vincennes, hanno combattuto in Siria e fanno parte della stessa cellula jihadista, la Buttes-Chaumont che prende il nome di un parco parigino dove si radunavano gli jihadisti pronti a partire per la guerra in Iraq. I fatti di Parigi dimostrano quindi che la struttura terroristica non è più affidata alla gestione di estremisti islamici “importati”, ma a cittadini europei, di seconda o terza generazione.
Ormai l’analisi settoriale non può più garantire una difesa alla minaccia terroristica che è globale, e nell'analisi di intelligence si deve quindi procedere cercando di collegare fra loro anche eventi lontani che possano accadere contemporaneamente. A Parigi si sparava in città mentre a Sana esplodeva un’auto bomba, ed i Boko Haram distruggevano 19 villaggi in Nigeria, con più di 2000 morti.
I bersagli direttamente colpiti – sempre civili, in quanto attirano di più l’attenzione dei mass media – servono solamente a spostare l’attenzione da quello centrale, tramite una politica di terrore e di rivendicazioni il cui fine può divenire la propaganda, l’intimidazione o la coercizione. La propaganda, che costituisce il fine primario delle azioni terroristiche, porta questi attentatori ad agire davanti ad una grande platea, nel senso che l’azione stessa deve poter essere conosciuta dalla maggior parte possibile di popolazione. Non a caso, infatti, i mezzi più utilizzati sono i mezzi di comunicazione di massa. Infatti, proprio tramite la televisione gli assalti di Parigi sono stati posti davanti agli occhi di tutti. In questo modo il terrorismo cerca nuovi consensi tra le organizzazioni politiche e non, comunque tra i possibili sostenitori di una giusta causa del terrorismo stesso. Gli adepti non si definiscono terroristi ma “guerriglieri” e, se uccidono, non ritengono di essere omicidi ma combattenti per la libertà.
Gli analisti di strategia militare sostengono che per vincere la guerra al terrorismo jihadista non è sufficiente dare la caccia ai loro capi ma sradicare la penetrazione quedaista all’interno dei paesi in cui sono infiltrati, cercando di demotivare i movimenti oltranzisti presenti in alcune frange della realtà jihadista. I moderni attentatori di Parigi credono che solo l'oltranzismo sia l'opzione giusta, a discapito della libertà, intesa come libertà personale e di pensiero. E favorendo l’instaurarsi di una società che non guarda al futuro, ma che è volta al passato e non riesce a modernizzarsi. E che non ha niente a che vedere con l'Islam, che in questi giorni si è espresso attraverso i rappresentanti delle varie comunità islamiche internazionali con dichiarazioni di ferma denuncia degli attacchi di Parigi.
*Presidente centro studi internazionali UNI