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Esteri
Trump e Afghanistan, terrore e povertà: l'inutile pietà universale

Gli Stati Uniti, con Trump, ma anche prima, hanno seriamente l’intenzione di lasciare l’Afghanistan al suo destino. Come sempre, si oppone al progetto la natura della controparte. Se i Taliban fossero persone normali, magari di un partito diverso da quello di Trump (o di Obama, se è per questo) poco male. Sarebbero affari interni dell’Afghanistan. Il fatto è che, per gli Stati Uniti, come per tutti i Paesi “decent”, come dicono gli anglofoni, una cosa sono le differenze d’opinione politiche, un’altra la differenze di civiltà, quando riguardano i diritti umani. In Europa il nostro interlocutore può essere progressista e noi conservatori, o viceversa, ma ambedue siamo risolutamente contro la lapidazione dell’adultera. Ecco il discrimine.

Il problema degli americani – ed anche nostro, perché anche noi abbiamo dei soldati in Afghanistan – è la certezza che, una volta andati via da quel Paese, i Taliban prenderanno il potere, aboliranno la democrazia, instaureranno la sharia (legge coranica), lapideranno le adultere, taglieranno la mano ai ladri, vieteranno il cinema e la musica e, per far buon peso, vieteranno la scuola alle donne. In altri termini, offenderanno tutti i nostri più profondi sentimenti in materia di diritti umani. Tutti quei valori che ci sollecitano, per così dire, a intervenire, in nome della democrazia, della libertà, delle donne, delle adultere e persino dei ladri. Ma ovviamente ciò non avrebbe senso, soprattutto poco tempo dopo che finalmente ce ne siamo andati via, dopo tanti anni di negoziati e di rinvii. E allora, lasciamo che l’Afghanistan rimetta l’orologio al settimo secolo dopo Cristo?

La domanda è di più vasto raggio di quanto non sembri. Infatti le occasioni di essere sconvolti da un miscuglio di indignazione, desiderio di reagire, e soprattutto pietà, pietà, pietà per le vittime, sono infinite. Non soltanto in molti altri Paesi, non soltanto in Afghanistan, vengono perpetrate quotidianamente atrocità, non soltanto migliaia e migliaia di adulti e bambini sono malnutriti, quando non muoiono d’inedia, ma persino la natura è estremamente crudele. Non soltanto nel mare moltissime specie di pesci sopravvivono mangiando altri pesci, ma anche nella savana si vive uccidendo, sbranando i cuccioli sotto gli occhi delle madri, in un continuo massacro nel quale alla vita dell’uno corrisponde la morte dell’altro. Certo, del cucciolo che cerca di sfuggire al leone si può avere un’immensa pietà. Ma per poi sentirne anche per il leone vecchio, scacciato dal suo branco e condannato a morire di fame.

Non si finirebbe mai. Il fatto è che la sofferenza è di casa, nel mondo. E se possiamo sperare che gli esseri inferiori, come gli insetti, non soffrano come noi, per la sofferenza dei mammiferi superiori non ci sono dubbi: soffrono e gioiscono come noi. Chiedetelo a chiunque abbia un cane e gli voglia bene. Cani e gatti, per chi capisce la loro lingua, sono “persone”. Eppure quante volte la vita non è crudele, con loro? A cominciare da quegli uomini che li considerano “carne con gli occhi”, come si diceva una volta dalle mie parti.

Questo immenso panorama di dolore ci insegna che esso è troppo vasto perché possiamo affrontarlo. Lo sforzo di salvare le donne afghane è lodevole, e la possibile sorte che è loro riservata potrebbe anche indurci al pianto. Ma al di sopra di quel pianto dovremmo dire a noi stessi che non possiamo raddrizzare tutti i mali del mondo. Forse dobbiamo conservare la nostra sensibilità, la nostra disponibilità alla pietà, per non soggiacere alla “banalità del male” identificata da Annah Arendt, ma è inutile che ci tormentiamo con gli scrupoli. Soprattutto è stupido pensare che potremmo scaricarci la coscienza salvando una donna afghana, o sottraendo il cucciolo di gnu al ghepardo che l’insegue. Fra l’altro, per giustizia, dovremmo poi dare della carne al ghepardo al quale abbiamo sottratto il cibo. E che carne sarebbe, di manzo? E non è un mammifero superiore anche il bue?

Per la fame nel mondo, l’unica cosa che si potrebbe fare sarebbe insegnare ai poveri a non fare figli, se non sono sicuri di poter dare loro da mangiare. Ma non ci si riesce. Il problema si risolve soltanto quando loro stessi, autonomamente, si rendono conto del problema. E spesso, assurdamente, se ne rendono conto quando sono meno poveri.

C’è tutta un’industria di profittatori che invitano la gente, via televisione, a mandare denaro per i bambini affamati o malati. Si tratta di truffe. E, quando non sono truffe, si tratta di sforzi inutili. Atti soltanto a dare una buona coscienza a chi vorrebbe svuotare l’oceano con un cucchiaino.

Teniamoci la nostra pietà, è un nobile sentimento che si deve avere caro, ma sapendo che non serve a niente. Intorno a noi ci sono migliaia e migliaia di persone che vanno in giro sapendo di essere già condannate dal cancro, anche se sono giovani, a volte anche se sono bambini, e certo nessuno di loro merita quella condanna. Il dolore è cieco e insensibile a tutte le ragioni. Siamo le vittime di un tiranno universale, la legge di causalità, assolutamente sorda a tutte le ragioni. Come ho scritto una volta: la morte di Mozart dimostra che non c’è Nessuno che monitori le cose nel mondo.

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