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Esteri
Trump? Non c'è da aver paura

Nell’epoca repubblicana i romani sapevano che i consoli, essendo in due, il potere dovevano spartirselo. E comunque duravano in carica soltanto un anno. Viceversa, durante i lunghi secoli successivi, per ogni nuovo imperatore dovevano chiedersi che cosa li attendesse. Non soltanto il nuovo venuto, nominato a vita, poteva essere cattivo sin da principio, ma poteva diventare cattivo anche se da principio era stato buono. Come avvenne con Nerone.

Quando un nuovo leader è dotato di grande potere ed appare imprevedibile, inquietante. perfino rivoluzionario, l’incertezza diviene addirittura ansia. Il sistema dei pesi e contrappesi, caratteristico delle democrazie, non basta per sentirsi tranquilli. Infatti le preferenze dei governi stranieri e delle Borse vanno costantemente al candidato più conformista e prevedibile. Le persone ragionevoli non sognano miracoli, sperano soprattutto che non si provochino disastri.

In questi giorni l’America ha eletto il più scorretto, imprevedibile e allarmante Presidente degli Stati Uniti che si ricordi. In confronto a lui, Ronald Reagan era un chierichetto. C’è dunque da aver paura di ciò che “The Donald” può fare?
Tenendo conto dei moventi fondamentali degli esseri umani, qualche previsione si può azzardare. Luigi XIV non smaniava per il potere – che aveva già – e neppure per il denaro. Gli piacevano le donne, i divertimenti (fu grande amico di Molière) le feste e soprattutto la gloria. Il risultato furono Versailles e quelle guerre che svuotarono le casse del regno. La sua molla fondamentale era dunque un egoismo edonistico.

Viceversa, che cosa muoveva Hitler? Non certo la vanità, non certo le donne, non certo il denaro: queste cose non contarono mai nulla, per lui. La sua pulsione fondamentale fu l’ideale di una nuova Germania, grande, forte, destinata a dominare a lungo l’Europa. Voleva fondare il Tausendjährige Reich, l’impero dei mille anni, e per questo era disposto a lottare. Non per caso il suo programma era intitolato: “Mein Kampf”, la mia battaglia. Hitler era un idealista e proprio questo fu ciò che lo rese disastroso per l’umanità.

La persona normale, sia pure con più o meno scrupoli, pensa al proprio bene, e tiene conto dei risultati. Se vede che si sta creando più problemi che vantaggi, si chiede se non abbia sbagliato strada. Viceversa l’idealista mette in conto la risposta negativa della realtà, ed è risoluto a non tenerne conto. La sua idea è talmente incontestabile, il suo progetto è talmente giusto, che nemmeno le prime esperienze negative lo inducono al dubbio. Nel caso di Stalin, addirittura, non bastò un’intera vita.

C’è indubbiamente il caso dell’idealista benefico – per esempio De Gaulle – ma è raro. Nella maggior parte dei casi, chi segue una bussola in contraddizione con la realtà del momento provoca danni. Mazzini era un grande idealista ma unicamente con lui l’Italia non si sarebbe mai unita. Ci voleva un pragmatico come Cavour e un re che si interessava soltanto di caccia e di andare a letto con Rosina.
L’idealista cerca di applicare al mondo la sua idea, il pragmatico si adatta alla realtà. Nel Far West dell’Ottocento, prima arrivavano i coloni, poi nei loro villaggi si aprivano i saloon e i bordelli, infine, con la prima prosperità, si pensava all’anima, costruendo una Chiesa. Prima le necessità, poi i piaceri, infine le cose nobili. I pragmatici si occupano soprattutto delle prime due cose.

Donald Trump non si colloca certo fra gli idealisti. Se si è arricchito, ha evidentemente un forte senso del reale. E a che cosa si è dedicato? A costruire case, cioè a rispondere ad un bisogno primario della gente. Facendoci montagne di soldi. Poi ad un altro mare di cose, ma sempre nel campo della vita pratica, se non addirittura del puro divertimento, certo mai delle astrattezze. E si è goduto la vita fino a costituire, con le sue innumerevoli e bellissime donne, con le sue tre mogli e la sua vita in vetrina, un argomento privilegiato del gossip.

Se questa è la personalità di Trump, possiamo essere tranquilli sul futuro. La sua spinta costante è il successo. L’ha avuto nella vita e negli affari e alla fine gli è venuto l’uzzolo di averlo anche in politica, mirando al bersaglio più alto. Ora che l’ha conseguito, cercherà – sempre per vanità – di trasformare questo risultato in un ulteriore successo, e questo lascia ben sperare. Infatti è abituato ad ottenere quello che vuole pragmaticamente, tenendo conto della realtà. Preoccupante era Jimmy Carter, che aveva degli ideali, e preoccupante è stato lo stesso Obama, che infatti è stato un disastro in parecchi campi.
Naturalmente Trump potrebbe sorprenderci, rivelando di essere un idealista incurante degli ostacoli, colto, disinteressato, devoto al suo progetto, e disposto perfino a sacrificarsi. Ma speriamo che Dio non voglia punire così severamente l’America.

pardonuovo@myblog.it

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