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Esteri
Israele: ucciderne sette per sterminarne due milioni

Ucciderne sette per sterminarne due milioni

La censura è un complemento cruciale del genocidio. Sappiamo molto bene che censura e repressione della libertà di parola furono caratteristiche chiave dello sterminio nazista di 20 milioni di persone, fra cui 6 milioni di ebrei, diventate fumo nel vento dei campi di sterminio della Germania nazista.

Un po’ meno bene ricordiamo che nella Repubblica Federale Jugoslavia di Slobodan Milosevic furono adottate diverse misure per censurare tutte le pubblicazioni indipendenti, le stazioni televisive e radiofoniche che osavano denunciare o addirittura menzionare in modo naturale le atrocità commesse dai serbi.

Nel 1998, cinque redattori di giornali indipendenti furono “accusati di diffusione di disinformazione” perché le loro pubblicazioni si riferivano agli albanesi uccisi in Kosovo come “persone” invece che “terroristi”. Quando, per porre fine alle atrocità, la NATO minacciò di invadere il Kosovo, il capo del governo serbo passò alla soppressione diretta di tutte le voci dissenzienti.

Chiunque cercasse di dire la verità doveva guardarsi le spalle. “Coloro che avevano partecipato al servizio della propaganda straniera… non dovrebbero aspettarsi nulla di buono dalle autorità statali”.

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Traslato al presente questo breve pro-memoria funziona benissimo anche per riassumere la situazione in Israele. Una nazione che in sei mesi di guerra e metamorfosi è riuscita a trasformarsi da stato nato sulla cenere di milioni di vittime i cui discendenti hanno fatto e fanno della memoria dell’Olocausto una bandiera, a stato razzista e carnefice che della fame fa la sua arma di guerra.

Da stato democratico a regime dittatoriale, dove la stampa internazionale subisce la censura, gli viene negato l’accesso ai territori di Gaza dove Israele sta procedendo indisturbata alla più tragica, cinica e chirurgica pulizia etnica degli ultimi decenni. Con l’aggravante che è sotto gli occhi del mondo e si è consumata con la complicità della comunità internazionale.

È evidente, e lo sarebbe anche per un orbo, che se qualunque altra nazione si fosse permessa un decimo di quello che fino ad oggi Israele ha fatto, sarebbe stata isolata dalla comunità internazionale e sanzionata a più riprese, tanto quanto, o forse di più, della Russia, dell’Iran, della Corea del Nord, Repubblica democratica del Congo, Sudan, Bielorussia o Cuba.

La strage dei sette volontari della World Central Kitchen non è stata un tragico e involontario incidente, come ha cercato di sostenere l’IDF che al principio addirittura aveva negato il suo coinvolgimento cercando di far passare la carneficina come opera di Hamas.

Quello dei sette operanti è stato un massacro premeditato, pianificato, chirurgico. Di fronte all’indignazione di Biden e dell’intera comunità internazionale Netanyahu è stato costretto ad ammettere che la colpa è del suo esercito aggiungendo, per non farci sentire la mancanza della sua umanità e empatia, che sono cose che “succedono, è la guerra!”.

Chi dunque voglia avere orecchie per intendere e occhi per guardare, intenda: il massacro degli operatori umanitari della WCK ha un chiaro e specifico obiettivo: quello di accellerare lo sterminio dei palestinesi di Gaza costringendo a fuggire le poche ONG rimaste nella Striscia e ancora disposte a sfidare la morte pur di fornire aiuti alimentari a una popolazione ormai sull’orlo della morte per inedia, carestia e malattie. Cosa che infatti tutte le poche rimaste sul campo hanno fatto, fra ieri e oggi. Adesso Gaza è sola e i suoi due milioni di sopravvissuti dovranno sfidare la morte per fame.

Voglio dare i numeri, quelli che la nostra stampa italiana non dà, docile alla propaganda e sottomessa come è al mainstream: sono più di un milione gli abitanti di Gaza malati, quelli che avrebbero bisogno di cure e di cibo per sopravvivere e dei quali la più parte è destinata a morte certa; sono 30 i bambini che oltre ai 14.500 mila fra i 0 e 10 anni che sono stati già uccisi dall’esercito israeliano, sono morti per malnutrizione e fame in queste ultime settimane; 10.000 sono i malati di cancro che non hanno più accesso alle cure necessarie; degli oltre 78.000 feriti quasi nessuno di loro non può essere trattato perché Israele ha distrutto tutte le infrastrutture, e con particolare ossessiva attenzione soprattutto gli ospedali.

Sono 32 quelli rasi al suolo, 124 le ambulanze distrutte, 341 i medici e paramedici torturati e uccisi. Altri 300 sono stati feriti, 240 arrestati, interrogati e torturati dai soldati israeliani.

Dall’inizio del conflitto Israele ha sganciato su Gaza 70.000 tonnellate di bombe. Sono circa 30kg di esplosivo per ogni abitante, uomini, donne vecchi e bambini, neonati compresi. Dal 7 ottobre Israele ha distrutto più di 400.000 edifici, molti dei quali ha proceduto a spianarli coi bulldozer, riducendoli in briciole.

L’obiettivo è sempre più chiaro: Israele vuole rendere invivibile l’intera area della Striscia di Gaza e prepararsi alla soluzione finale: l’assalto di Rafah. Il “campo da falciare come un prato”, per dirla con parole che circolano nelle chat dei militari dell’IDF, è pronto. Israele ha classificato l’intera area come obiettivo militare. Il che significa che tutti i palestinesi presenti sono e saranno potenziali bersagli.

Les jeux sont faits, rien ne va plus.






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