Ucraina, droni contro la residenza di Putin: disastro per i negoziati? Camporini non crede alla svolta diplomatica e avverte: "Escalation già in atto” - Affaritaliani.it

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Ultimo aggiornamento: 18:56

Ucraina, droni contro la residenza di Putin: disastro per i negoziati? Camporini non crede alla svolta diplomatica e avverte: "Escalation già in atto”

Ad Affaritaliani il Generale dell'Aeronautica militare fa il punto sugli ultimi sviluppi dei negoziati per la pace in Ucraina

di Chiara Feleppa

Droni contro la residenza di Putin, nuove tensioni tra Mosca e Kiev. Un disastro per i negoziati? Il Generale Camporini: “Escalation già in atto”

È un duro botta e risposta politico e diplomatico quello che accompagna il presunto attacco con droni contro la residenza ufficiale del presidente russo Vladimir Putin nella regione di Novgorod. Secondo Mosca, nella notte tra il 28 e il 29 dicembre il “regime di Kiev” avrebbe lanciato 91 droni da combattimento a lungo raggio contro la tenuta presidenziale. Un'azione definita da Mosca come un “attacco terroristico”, destinato ad avere conseguenze e negata da Kiev, che di contro ha definito l’accusa una “bufala russa”, accusando Mosca di voler sabotare ogni sforzo diplomatico.

Infatti, l'ennesimo gioco di forza arriva proprio mentre sono in corso i negoziati con Washington. “È chiaro che un atto del genere pesa sulla possibilità di sedersi intorno a un tavolo negoziale, su questo non ci sono dubbi. Non ci sono spazi reali per un negoziato”, commenta ad Affaritaliani il Generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell'Areonautica e della difesa, mostrando forte scetticismo sulla possibilità di una svolta diplomatica. "Del resto stiamo parlando di una guerra. Non dimentichiamoci che la prima mossa di Putin fu tentare di uccidere Zelensky, quindi c’è una chiara reciprocità di intenti”. 

Nel quadro complessivo, i recenti fatti di Novgorod non rappresenterebbe una svolta, ma l’ennesima conferma di una dinamica già avviata. “Questo ultimo episodio si inserisce in un contesto in cui l’escalation esiste già ed è la prosecuzione di una martellante campagna di odio”, prosegue Camporini. 

Del resto, se è vero che l'incontro a Mar-a-Lago tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky ha riacceso le speranze di un possibile accordo per porre fine alla guerra in Ucraina, è altrettanto vero che si tratta - per l'appunto - di speranze, probabilmente destinate a svanire in un nulla di fatto. Le visioni ottimistiche fanno da sponda a una necessaria retorica diplomatica, ma i nodi rimangono più che mai intricati, nonostante le rassicurazioni del presidente statunitense che ha parlato di “progressi significativi” e di un accordo possibile già nelle prossime settimane.

Il bilaterale è stato preceduto da una telefonata “molto costruttiva” con Vladimir Putin, indicativa della volontà americana di mantenere aperti tutti i canali di dialogo. Tuttavia, lo stesso Trump ha ammesso che “restano uno o due temi spinosi”, riconoscendo implicitamente che la diplomazia in questo caso non può fare miracoli senza il consenso russo. 

"Trump-Zelensky? Uno show"

Il generale critica le letture ottimistiche dell'incontro arrivate negli ultimi giorni. “Ho ascoltato con scetticismo alcune dichiarazioni di Trump, che mi sono sembrate vuote di contenuto, soprattutto quando si afferma che il 95% degli obiettivi sarebbe stato raggiunto. Il problema dei territori non è una parte del problema: è il 100% del problema”, dice Camporini. 

Secondo il generale, infatti, i problemi concreti restano sul tavolo e finché non si risolveranno le questioni territoriali, ogni promessa di pace rimarrà puramente teorica. Trump, con le sue promesse di una pace rapida, starebbe alimentando più la sua immagine che la realtà dei negoziati. "I suoi sono solo slogan pensati per nutrire il suo ego. Garantire la sicurezza senza avere truppe straniere sul territorio conteso significa promettere praticamente nulla", prosegue il Generale che, sull'incontro, non ha dubbi: "Non si è trattato di un flop, ma di un vero e proprio reality show".

D’altra parte, sul fronte ucraino, la domanda su eventuali concessioni territoriali rimane aperta: nulla lascia intendere che Zelensky possa realisticamente permettersi compromessi che rischierebbero di risultare politicamente insostenibili. Lo scenario che emerge, secondo il generale, è quello di uno stallo prolungato.

"Il conflitto rischia di essere 'congelato' più che risolto", spiega. Le linee del fronte sono pressoché immutabili, se non per spostamenti marginali, e i costi umani ed economici di questa immobilità restano altissimi. Non è un fenomeno nuovo: la storia dei conflitti post-sovietici mostra come le tregue prolungate possano consolidare divisioni senza risolverle.

L’Europa e l’Italia: attori in secondo piano

L’Europa, pur confermando il sostegno a Kiev, rimane intanto in secondo piano: Ursula von der Leyen ha sottolineato la collaborazione transatlantica, ma la capacità europea di incidere direttamente sulle decisioni sembra limitata, tanto da essere spesso descritta come irrilevante sul piano diplomatico. "Una via di mezzo tra un giudizio ingeneroso e un dato di fatto. L'Europa non ha il peso che dovrebbe avere, ma ha permesso a Kiev di mantenere una posizione meno arrendibile, poiché può contare sul sostegno di una parte consistente dei paesi europei", dice Camporini.  

Non va meglio all’Italia che "tiene il piede in due scarpe", prosegue il Generale. "Il governo Meloni cerca di posizionarsi come ponte tra gli interessi europei e quelli americani, con una chiara inclinazione verso la solidarietà transatlantica - osserva - ma perché il ponte funzioni servono pilastri solidi: e io non ne vedo alcuno dalla parte americana". L’Italia, dunque, sembra trovarsi in una posizione ambivalente, pronta a mediare ma senza strumenti concreti per influenzare significativamente il corso degli eventi.

Guardando ai prossimi mesi, il Generale non prevede cambiamenti decisivi: "Fino alla fine dell’inverno non accadrà nulla di significativo. Con la primavera, e con la possibilità di operare sul piano militare, qualche svolta potrebbe esserci". Ma la prospettiva più plausibile appare quella di una lunga normalizzazione del conflitto, con promesse di pace pronte a scontrarsi con la rigidità dei fronti e la difficoltà di trovare compromessi reali.

I nodi da sciogliere

I temi più complessi, del resto, sono al momento irrisolti, con il Donbass che continua a essere il punto più delicato, dal momento che qualsiasi proposta di ritiro o concessione territoriale incontra forti resistenze a Kiev. Ancora più controversa è la gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia: la proposta ucraino-americana di una supervisione trilaterale con Mosca cozza con la volontà di Kiev di mantenere un controllo condiviso più stretto con gli Stati Uniti.

Persino una tregua temporanea appare problematica: fonti russe suggeriscono che potrebbe non ridurre le ostilità, anzi rischia di prolungarle. L'orizzonte, insomma, resta incerto. Del resto, scriveva Tito Livio, "la guerra nutre se stessa", perchè ogni conflitto genera nuovi focolai e alimenta le tensioni che lo mantengono vivo. E se questo vale per la guerra, vale anche per la pace.

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