Basf Venture Capital investe nel futuro della chimica verde

Mario Bonaccorso (www.ilbioeconomista.com)
Mister Riggs, la bioeconomia può essere considerata un driver nelle scelte di investimento di Basf Venture Capital?
In primo luogo, la Basf Venture Capital investe in start-up innovative e promettenti che sono, sulla base delle loro tecnologie, di particolare interesse per il gruppo Basf.
Basf, come principale azienda chimica mondiale, ha interessi in quasi tutti i settori, ma il nostro focus può essere generalmente definito nelle tecnologie basate sulle sostanze chimiche, sulla scienza dei materiali e sulle biotecnologie. Sebbene le materie prime fossili saranno ancora dominanti in futuro, i prodotti chimici e i materiali a base biologica stanno guadagnando sempre più interesse in tutto il mondo e anche in Basf Venture Capital.
Nello scenario rappresentato dalle start-up, esaminiamo ogni anno tantissime imprese che si occupano di prodotti chimici bio-based e di biotecnologie. Molte di queste aziende hanno tecnologie interessanti per la produzione sia di prodotti della chimica fine sia di prodotti chimici di base provenienti da fonti non fossili, così come per le nuove materie prime per l'industria chimica. Tuttavia una delle principali sfide del settore è rappresentata dalla capacità di sviluppare processi per la produzione di prodotti chimici in un modo economicamente efficace.
Oggi è redditizio investire in imprese della bioeconomia?
Se pensiamo a soluzioni “drop-in” (ovvero a una sostituzione diretta dei prodotti petrolchimici esistenti), in alcuni mercati può esserci un guadagno per i prodotti a base biologica, ma si tratta di eccezioni alla regola. Le start-up che riteniamo saranno di successo sono quelle che possono produrre prodotti chimici a base biologica a un costo più basso rispetto alle alternative a base petrolchimica. Per quanto riguarda le soluzioni non "drop-in" , ovvero materiali a base biologica che, attraverso nuovi metodi, possono essere oggi prodotti su una scala che li rende più accessibili per applicazioni che in precedenza non erano possibili, occorre fare un’attenta comparazione con la concorrenza rappresentata dai materiali a base fossile. A tutto ciò va aggiunto che dal punto di vista di un investitore questo settore è impegnativo, a causa dei lunghi tempi di sviluppo e dell’altissima intensità di capitale - in molti casi un decennio o più, con l’esigenza di diverse centinaia di milioni di euro prima che una start-up possa iniziare a fatturare. E anche in questa fase vi è un grosso rischio.
Come valuta, dal suo punto di vista di investitore industriale, le prospettive di crescita della bioeconomia in Europa?
L'Europa è davvero molto competitiva in termini di nuove scoperte scientifiche. L'innovazione, però, è qualcosa di più dello sviluppo di nuove tecnologie, riguarda anche la capacità di trasferire queste tecnologie dal laboratorio a un’impresa sostenibile. È chiaro a questo riguardo che gli Stati Uniti sono leader mondiali. In Usa è più facile per le start-up ottenere un capitale adeguato per la crescita, così come manager esperti del settore.
Fuori dal quadro delle start-up, alcuni dei più grandi attori del settore chimico hanno sede in Europa. Grazie alla loro esperienza nello sviluppo, nella produzione e nell’integrazione di nuovi processi nella rete della chimica, e alla presenza di un capitale sufficiente per intraprendere progetti di grandi dimensioni, logicamente queste grandi multinazionali europee si trovano nella posizione migliore per guidare l'uso industriale delle tecnologie emergenti per la bioeconomia. Tuttavia, poiché le materie prime per i processi biotecnologici provengono principalmente da fuori dell'Europa, e considerata l’importanza di avere una filiera locale, è più probabile che gli impianti di produzione saranno situati vicino alla fonte di materia prima, ovvero in America o in Asia.