Bioeconomia/La risposta triestina al colosso danese degli enzimi Novozymes

Di Mario Bonaccorso (www.ilbioeconomista.com)
Dottoressa Cantone, perché è fondamentale un'industria degli enzimi per sviluppare la bioeconomia?
Il concetto di “Bioeconomia” abbraccia una serie abbastanza ampia di ricerche, prodotti, energie alternative ed applicazioni che hanno però come denominatore comune l’obiettivo di utilizzare come materiali di partenza delle fonti rinnovabili, che possano costituire una valida alternativa al petrolio, e che prevedano quanto più possibile l’uso di processi sostenibili.
All’interno di questo quadro generale, gli enzimi giocano un ruolo importante sia come prodotti che come catalizzatori di processo, poiché a livello industriale i processi chimici possono venir sostituiti da quelli enzimatici, con alcuni vantaggi come maggior specificità, condizioni di reazione più blande e quindi minor consumo energetico, minor produzione di reflui e quindi complessivamente a minor impatto ambientale rispetto ai corrispondenti passaggi chimici “classici”.
Le cosiddette “biotecnologie industriali” vedranno un mercato sempre più ampio nei prossimi anni, sia nel settore chimico, cosmetico, tessile e alimentare, sia all’interno delle bioraffinerie, dove sempre più vi sarà la necessità di mettere a punto dei biocatalizzatori appositamente disegnati per il processo di interesse.
Un’industria degli enzimi quindi diventa fondamentale sia per la messa a punto di nuovi processi fermentativi che vadano ad abbassare i costi produttivi sia per l’ingegnerizzazione degli enzimi stessi, in modo da renderli più specifici, resistenti e produttivi nei processi di interesse.
Cosa sono gli enzimi e quali i loro impieghi industriali?
Gli enzimi sono delle proteine presenti in natura (e anche nel corpo umano) che agiscono da catalizzatori, ossia velocizzano delle reazioni. Oggi come oggi gli enzimi utilizzati per le varie applicazioni industriali vengono prodotti per via fermentativa a partire da diversi microorganismi.
Gli enzimi trovano svariate applicazioni, ad esempio nel campo alimentare, tessile, cosmetico, nell’industria della carta, nella formulazione di detersivi e detergenti, nella chimica fine e nella produzione di biodiesel e bioetanolo.
Come vengono adoperati nello specifico nelle bioraffinerie?
All’interno delle bioraffinerie, ove si opera trattando una biomassa per convertirla in carburanti, energia e prodotti chimici, gli enzimi costituiscono un sistema sostenibile di trasformazione del materiale di partenza. Gli enzimi ad esempio si sono dimostrati efficienti nel pre-trattamento delle biomasse lignocellulosiche (paglia, chips di legno ecc.), così come nell’idrolisi del materiale cellulosico o per la conversione dell’amido in zuccheri. Sono state sviluppate varie configurazioni di processo per la trasformazione di materiali vegetali in prodotti chimici o carburanti, e le biotecnologie offrono nuove possibilità per la costituzione di bioraffinerie integrate.
Cosa significa immobilizzare gli enzimi?
L'immobilizzazione permette l’applicazione degli enzimi anche in processi dove gli enzimi nativi non possono essere utilizzati. L’immobilizzazione infatti permette di stabilizzare l’enzima, che può quindi operare anche in condizioni in cui normalmente gli enzimi nativi si degradano rapidamente e ne permette la facile separazione dal media di reazione (basta semplicemente filtrare). Gli enzimi immobilizzati inoltre possono essere utilizzati senza operare modifiche sostanziali negli impianti produttivi, permettendo quindi di evitare ingenti investimenti iniziali.
Cosa bisognerebbe fare per sostenere in Italia un'industria degli enzimi, in grado di competere con un colosso come il danese Novozymes?
L’Italia è caratterizzata da una realtà piuttosto frammentata, costituita soprattutto da enti di ricerca pubblici e piccole-medie imprese (spesso spin-off di università o centri di ricerca), che faticano a dialogare con le realtà più grandi presenti sul territorio. Pensare di costituire un’azienda come Novozymes richiederebbe investimenti ingenti, ma è proponibile invece cercare di “unire le forze” per perseguire obiettivi comuni.
Da parte delle aziende comprendere il potenziale tecnologico e di business di risultati accademici e di quelli derivanti dalla ricerca e sviluppo delle Piccole e medie imprese necessita di adeguate competenze nei settori di interesse, nonché di un adeguato supporto “dall’alto”, che si traduce anche nella capacità di saper investire in prodotti e tecnologie innovativi. Un dialogo maggiore tra i vari player permetterebbe inoltre di fornire in maniera chiara agli accademici le adeguate informazioni in merito al processo industriale e alle richieste del mercato, dando così indirizzi più “fruibili” alla ricerca.
Cosa altro ancora?
Bisogna inoltre superare le problematiche legate alle tempistiche troppo lunghe per tradurre I risultati della ricerca in prodotti vendibili. Attualmente quello che spesso accade è che l’innovazione creata in Italia venga sfruttata all’estero, per mancanza di accesso diretto in loco a impianti produttivi industriali o impianti pilota. Una più stretta collaborazione tra le PMI e la grandi imprese potrebbe velocizzare la fase di scale-up e di industrializzazione, che spesso per le piccole imprese richiede investimenti ingenti e – soprattutto in questa fase piuttosto difficile per l’economia e per l’accesso al credito - non sempre sostenibili.
Questo necessita ovviamente di una regolamentazione chiara relativa all’IP (proprietà intellettuale, ndr) e allo sfruttamento/commercializzazione delle tecnologie e prodotti messi a punto, altrimenti si rischia di soffocare le piccole aziende che fanno forte innovazione.
Se poi pensiamo al concetto di bioraffineria, non possiamo prescindere da quello di filiera, dove ci deve essere un’interazione forte tra tutti i partecipanti, partendo dal fornitore della materia prima fino al consumatore finale, passando attraverso le tecnologie e le facilities caratteristiche delle varie aziende coinvolte.
In questo quadro entrano ovviamente anche le politiche nazionali, che dovrebbero dare delle direttive incentivanti in questo senso, nonché i finanziatori privati, che dovrebbero però avere la lungimiranza di effettuare degli investimenti a lungo termine.