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L'inutile che ci salverà

Ascoltare le voci dei classici, leggerli e rileggerli potrebbe condurre l’uomo di oggi a riprendere la retta via: la recensione del libro di Nuccio Ordine
Di Alessandra Peluso
Comprendere l’importanza della letteratura, della poesia, della musica, dell’arte in toto è una priorità alla quale oggi siamo tutti chiamati, non solo gli educatori, i filosofi, gli insegnanti, ma tutti, adulti, giovani, generazioni nuove vocate a realizzare ciò che molti sicuramente già sanno: un’umanità che non si occupi del guadagno, del superfluo che produce profitto, ma della crescita personale, della ricchezza dello spirito, della conoscenza atte a concretizzare quel progetto kantiano di un’umanità caratterizzata da “cittadini del mondo” o “coinquilini della cosmopoli”. Soggetti portatori di pari dignità e diritti, osserva a riguardo Salvatore Veca, così Hannah Arendt: “il diritto di avere diritti”, questione recentemente argomentata da Étienne Balibar nella rivista di filosofia "aut aut".
Ebbene in questo proscenio “L’utilità dell’inutile” di Nuccio Ordine nella versione italiana e rivista della prima edizione francese del 2013, per i tipi di Bompiani 2020, si rivela il “manifesto”, la cartina tornasole per il presente. Offre strumenti per migliorarlo. Come? Ascoltando le voci dei classici, leggerli e rileggerli potrebbe condurre l’uomo di oggi a riprendere la retta via, a dare significato alla meta: vita. Si tratta di passi scelti tra filosofi, letterati, poeti, ma anche matematici, scienziati, con i quali si viaggia alto come aquile solitarie e si assapora l’ebbrezza delle altitudini: il lettore non vorrà più scendere. Poi, nella parte seconda Nuccio Ordine compie un’analisi particolareggiata sulle condizioni delle scuole e delle università e si apprende ciò che forse qualcuno conosce e che risulterebbe impopolare parlarne, non sono notizie che hanno risonanza mediatica, eppure sconvolgono. È assurdo. “Gli studenti, come è stato sottolineato da Simon Leys in una lezione sulla decadenza del mondo universitario, in alcuni atenei canadesi vengono ormai considerati clienti” (p. 119). E ancora: “A Harvard, ha riferito Emmanuel Jaffelin su “Le Monde” del 28 maggio 2012, le relazioni tra professori e studenti sembrano essere sostanzialmente fondate su una sorta di clientelismo”. Non credo ne sia esente l’Italia da tale problematica: università che vendono diplomi e lauree, insistendo sull’aspetto professionalizzante, offrendo corsi e specializzazioni con la promessa di ottenere lavori immediati e redditi allettanti.
È opportuno aggiungere che questi non sono certo “istituti di cultura” che preparano alla vita ma all’utilità, al guadagno e dunque, non si può non far riferimento a Nietzsche che nella quarta conferenza in “Sull’avvenire delle nostre scuole”, 1872, mette in guardia gli uditori dalla “cattiva cultura” e distingue in modo netto e puntuale gli istituti per la cultura e gli istituti per i bisogni della vita. “Alla seconda specie – sostiene – appartengono tutti gli istituti presenti; la prima specie è invece quella di cui sto parlando io”. Sapere che le università così come le scuole diventano aziende e i professori dei burocrati provoca “scoramento”. D’altronde, il preside è il dirigente, non presiede ma dirige. Sulle trasformazioni linguistiche probabilmente non si batte ciglio, ma sui cambiamenti radicali delle scuole si dovrebbe. E dovrebbe interessare l’intera opinione pubblica. Deve essere un tema che coinvolge tutti, perché è da qui che nasceranno esseri pensanti, responsabili, non automi. Si fa ingresso nel delicato tema dell’“educazione”, che avviene con l’incontro autentico tra maestro e allievo, tra passione e amore per la conoscenza ed è stato dibattuto sia dai Maestri del passato sia da filosofi, storici, pedagoghi, sociologi, intellettuali sensibili a prevenire una catastrofe. Cito fra tutti Morin, Recalcati, Zagrebelsky, ecc.
Nuccio Ordine inoltre, denuncia, attraverso le parole dei classici e dei contemporanei, la gravità di un’istruzione e formazione non mirata alla formazione spirituale, alla crescita intellettiva, allo studio dei classici e perciò, del passato, e così proseguendo “avremo un’umanità smemorata che perderà completamente il senso della propria identità e della storia”. E per di più, il professore Ordine pone l’accento sulla chiusura di numerose biblioteche storiche e di indirizzi universitari quale quello di “beni culturali”; insomma, ciò che dovrebbe essere la nostra ricchezza, lo Stato, la politica pensa bene di debellare. Lo Stato si mostra il “mistagogo della cultura” per dirla à la Nietzsche. Mentre, sostiene Ordine: “Proprio quando la crisi attanaglia una nazione è necessario raddoppiare i fondi destinati ai saperi e all’educazione dei giovani, per evitare che la società precipiti nel baratro dell’ignoranza” (p. 126).
“L’utilità dell’inutile” è stato considerato dal maestro della critica, George Steiner: “Un piccolo capolavoro di originalità e chiarezza”, giudizio maturato per l’appunto dall’assenza di tale tematica nei dizionari enciclopedici, evidenziata invece da Ordine. Potrebbe inoltre, simboleggiare un viaggio: dalle alte latitudini dei classici a quelle terrene e nel mezzo il pensiero, sospeso, come la ragione kantiana toccherà successivamente riflettere, valutare, agire. È chiarissimo. La direzione intrapresa non è quella giusta. Bisogna cambiare, finché si è in tempo. E in fondo, sembra essere questo il monito dell’Autore che con garbo e savoir faire lancia parole infuocate. D’altro canto, percorrere la via della verità significa anche esporsi nella vita. E “pur di conquistare la libertà, il vero filosofo cerca sempre di tenere gli occhi rivolti al cielo e non teme di correre il rischio di finire, come Talete, in un pozzo” (p. 74); non saprei dire se noi ci siamo già in quel pozzo, ma ciò che conta e che non diventi un “abisso senza fari e senza sponde” dal quale non si potrà più riemergere. Così, Nuccio Ordine conclude il saggio “L’utilità dell’inutile” con l’ultima parte dal titolo emblematico: “Possedere uccide: dignitas hominis, amore, verità”. D’altro canto, solo una grande personalità sensibile quale è quella di Ordine può dar risonanza alla voce dei classici, senza ripetersi, senza rischiare di dire il già detto. Secondo le parole di Calvino i classici vanno letti e riletti.
È nella letteratura classica che fiorisce l’inutile che forma, che educa alla vita. Sono presenti tra le molteplici voci quelle altisonanti di Seneca, di Giovanni Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti, Cervantes con il “Don Chisciotte”, Ariosto, Leopardi, Rilke che ci insegnano anche il significato originario dell’amore. Confesso che in quest’ultima parte ci si commuove. Non si può, infine, né si deve tralasciare l’intervento di Abraham Flexner, pedagogo americano che incornicia – se si vuole – ma meglio simboleggia il coup de théâtre del libro: coglie ogni dettaglio e fornisce una visione universalizzante della cultura, dell’educazione, della formazione; insomma, di quella vita intellettuale e spirituale che rappresenterebbe “l’inutile”, evidenziando la dicotomia intrinseca dell’umano, la contraddizione formidabilmente espressa da Georg Simmel, identificandola in uno strumento, ad esempio un’invenzione scientifica creata per l’uomo come possa diventare un’arma contro se stesso e l’umanità, basti pensare alla “dinamite”, o all’“acido cloridrico” che non è stato di certo isolato dagli scienziati per scopi bellici. Approfondimento importante, così come essenziale è la “sconvolgente attualità” di alcune nazioni come la Germania e l’Italia nelle quali “le università sono state organizzate per diventare strumenti di una particolare fede politica, economica o razziale” (p. 258) e dove è essenziale ribadire che si tratta di Paesi nei quali è fiorita la Cultura. Giunti a tal punto, tocca al lettore, allo studioso, a ciascun individuo che compone una società “civilizzata”, a comprendere nel significato gadameriano che tutto questo porterà a soluzioni disastrose, ad atrofie dell’umano se non si deciderà di cambiare rotta, se non si capirà che solo l’inutile potrà salvarci!