Ferrari e Santanchè comprano l'Unità? L'importante è il colore del gatto
Paola Ferrari e Daniela Santanchè vogliono compare l'Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci il 12 febbraio 1924, a rischio di chiusura. Scontato che il comitato di redazione accolga come irricevibile la proposta. La Santanchè e la Ferrari hanno notoriamente posizioni politiche di destra e sono molto vicine a Silvio Berlusconi. I giornalisti dell'Unità ovviamente sono liberissimi di esprimere il loro gradimento circa la proprietà. Da veri giornalisti, conoscono bene che cosa prevede la legge sulla professione giornalistica e quanto sia fondamentale a livello deontologico il rapporto con l'editore.
Tutta questa vicenda rivela una certa rigidità e schematismo del giornalismo e della politica italiana. Spesso schierati aprioristicamente quasi al livello di tifo calcistico. Sul Corriere della Sera di oggi, il direttore dell'Unità Luca Landò dichiara, in un pezzo di Tommaso Labate, che il problema vero, oltre a quello della proprietà e dei soldi, è il piano editoriale/industriale. Che importanza ha il credo politico della proprietà se essa investe in una logica d'impresa e di mercato e rispetta il principio fondamentale dell'autonomia dell'informazione?
Qualunque sia la proprietà, essa farà tesoro della tradizione, della storia e dei valori di un giornale che ha fatto la storia non solo dell'Italia. Il meglio della cultura italiana (tra cui Calvino, Pasolini, Pavese, Vittorini) ha scritto sull'Unita. Questo giornale è stato passaggio strategico fondamentale del PCI, tanto che vigeva la prassi di scegliere il direttore tra esponenti di punta del partito (tra gli altri: Ingrao, Pajetta, D'Alema, Veltroni). Per giunta dire no a tutti i costi penalizza quella che metaforicamente è la vera proprietà del giornale: i lettori.
Sorprende il modo di ragionare istintivo. Un po' lo stesso meccanismo che condiziona il dibattito economico in questa paese. Si pensi ad Alitalia, Fiat, Indesit, quest'ultima acquisita in questi giorni da Whirpool. E' più importante che i lavoratori dell'Indesit lavorino o che l'azienda sia comprata da una multinazionale americana che sostiene di voler investire. Più che preoccuparsi del fatto che la Fiat lasci l'Italia, la politica dovrebbe fare in modo, per fare un esempio fantasioso, che la Volkswagen apra un sito produttivo in Italia. Il mondo è globalizzato e la competizione internazionale dà peso agli interessi nazionali di sostanza più che di apparenza.
La vicenda del quotidiano romano evidenzia una debolezza del bipolarismo politico italiano. In tutte le maggiori democrazie esistono due schieramenti che possono prevedere più o meno ingerenza dello Stato in economia, ma che utilizzano flessibilmente strumenti tradizionalmente patrimonio di uno o dell'altro. Il premier Matteo Renzi, per fare un esempio di tono minore, dimostra di andare in questa direzione quando rispolvera il potente marchio "Festa dell'Unità" e cancella il debolissimo "Festa Democratica".
Gli esperti di disciplina manageriale parlano di brand awareness (consapevolezza del marchio). L'Unità è una testata, un marchio straordinario, la premessa perfetta per tentare un rilancio editoriale. Come diceva il leader cinese Deng Xiaoping: "Non importa di che colore sia il gatto, l'importante è che mangi il topo". E lo affermava per sostenere il passaggio all'economia di mercato.
Ernesto Vergani