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Media Turchia, una delle più grandi prigioni di giornalisti al mondo
Istanbul

La Turchia continua a essere una delle più grandi prigioni di giornalisti al mondo. Sono più di 200 i giornalisti e gli operatori dei media incarcerati negli ultimi cinque anni, 13 dei quali ancora detenuti. Nel 2020 un totale di 48 giornalisti ha trascorso almeno un giorno in custodia cautelare, riporta Reporter Without Borders. Tra le ragioni dei loro arresti ci sono i riferimenti ai rifugiati siriani, le indagini sulla gestione da parte del governo della pandemia di Covid-19, la copertura della questione curda. Sempre lo scorso anno, almeno 18 sono state le aggressioni fisiche.

La stretta sui media del paese, al 154° posto (su 180 paesi) del “Word Press Freedom Index 2020” di Reporter Without Borders (al 151° nel 2016), si è fatta più massiccia dopo il tentato golpe del luglio 2016, in seguito al quale circa 170 testate, si legge su Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, sono state chiuse o commissariate, in favore dei numerosi media pro-governativi. Le misure per lo stato di emergenza adottate in seguito al tentativo di golpe “sono state utilizzate non solo per chiudere i media considerati simpatizzanti del leader religioso Gulen, la presunta mente del tentativo di colpo di stato, ma anche per mettere a tacere media filo-curdi come Imc Tv e media di sinistra come Hayatin Sesi Tv. Entrambi hanno condotto una battaglia legale per quasi cinque anni al fine di riprendere la trasmissione”.

In base al Media Ownership Monitor Turkey, il 71% circa dei media turchi sono di proprietà di quattro società filogovernative. Turkuvaz (Kalyon Group), Doğuş, Ciner e Demirören, assieme alla Albayrak Holding e alla İhlas Holding, deterrebbero circa 40 testate principali. La Fox Türkiye, della Walt Disney Company, sarebbe l’unica rete televisiva, tra le più importanti, estranea a tale sistema. E’ stata ravvisata una istituzionalizzazione dell’oppressione verso il giornalismo, che agli “attacchi non sistematici” volti, attraverso l’istaurarsi di un clima di paura, a indurre l’autocensura, usuali fino al 2016, ha sostituito riforme costituzionali e “inerzia legale nei confronti di violazioni e violenze perpetrate da attori supportati dallo stato” contro i giornalisti.

Anche durante la gestione dell’emergenza sanitaria di Covid-19 non sono mancate le occasioni di criminalizzazione. Circa 12 giornalisti sono stati arrestati nel 2020 per istigazione “alla disobbedienza delle leggi” e “all’odio”. Si parla di un controllo “pervasivo” dei toni della narrazione giornalistica, riferita ai problemi del paese, sempre più consistente. “Se c’è un aumento nel costo della benzina, i giornali mainstream non usano la parola ‘aumento’ ma parlano di aggiornamento del prezzo del carburante” spiega il giornalista Mumay a Osservatorio Balcani Caucaso. Qualsiasi istituzione pubblica è stata legalmente collegata alla presidenza - si legge - e come racconta la reporter Hatice Kamer “lavorare sul campo senza tessera diventa quasi impossibile”.

“Cresce il numero dei giornalisti presi di mira ed etichettati come ‘terroristi’” denuncia Mehves Evin su Duvar English, e “se qualcuno pensa che il giro di vite dei media nella Turchia di Erdogan sia finito, i fatti recenti dimostrano il contrario”. Secondo il rapporto Press Out pubblicato il 10 gennaio 2021, aggiunge, “in Turchia, la barriera principale all'accesso dei giornalisti a condizioni di lavoro libere, sicure ed eque è rappresentata dalle indagini, dai processi e dalle detenzioni che devono affrontare a causa delle loro attività professionali”.

Internet, un altro bersaglio della censura. La legge 'anti social'

Anche Internet è nel mirino della censura. Dal blocco di wikipedia (da aprile 2017 a gennaio 2020) agli "account troll pro-governativi contro gli utenti di opposizione”, allo scorso anno risale la legge che ha stabilito un controllo più forte sui social, in base alla quale le piattaforme che registrano più di un milione di utenti giornalieri devono nominare un rappresentante legale, che deve essere un cittadino turco, pena la restrizione della banda internet e blocchi pubblicitari. Inoltre i social media devono archiviare i dati dei loro utenti, per metterli a disposizione della magistratura qualora necessario.

L’arresto del direttore del Cumhuriyet e del capo della redazione di Ankara

Tra gli arresti di giornalisti che hanno ricevuto una certa eco mediatica si ricordano quelli in seguito allo "scoop" del Cumhuriyet, quando nel 2017 il quotidiano scrisse, mostrando anche un filmato, di un carico di armi protetto dai servizi segreti del Mit diretto in Siria, svelando il coinvolgimento di Ankara nella guerra a Damasco. Subito dopo la notizia, la polizia turca arrestò il direttore del giornale dell'opposizione, Can Dundar, e il capo della redazione di Ankara, Erdem Gul. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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