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Quelle rassegne stampa che su Di Maio e Salvini ci rimbecilliscono...
Foto LaPresse

C’è un verbo italiano che pensavo, invecchiando, mi potesse riguardare, una volta o l’altra: rimbecillire. Non ci sarebbe da vergognarsene: tutto il corpo invecchia e il cervello è una parte del corpo. Uno supera gli ottant’anni, ha di che congratularsi con se stesso per non essere morto prima, ma in inglese l’aggettivo “senile” (s-nail) già da solo significa “affetto da demenza senile”. Per non parlare del pericolo dell’Alzheimer.

Quello che non m’aspettavo, avendo almeno fino ad ora schivato l’Alzheimer, era che il verbo rimbecillire fosse anche un verbo transitivo. Cioè rendere imbecille qualcuno, come il verbo inglese “stultify”. E purtroppo è quello che mi sta capitando.

Quando l’età e gli acciacchi sconsigliano il jogging ed altri sport strapazzosi, e nel contempo il pensionamento offre una notevole libertà dagli impegni, è normale che ci si dia alla lettura e ci si tenga informati sui fatti del giorno. Naturalmente, se per formazione ci si disinteressa del pettegolezzo, di delitti e della cronaca cittadina, fatalmente finisce che ci si occupi di politica nazionale e internazionale, di economia e, all’occasione, di storia, dal momento che il passato è la premessa del presente. E non potendo comprare dieci giornali al giorno (sia per la spesa, sia per la distanza dell’edicola, considerando le nostre capacità motorie) è naturale che si divenga affezionati clienti delle rassegne stampa, televisive e radiofoniche. E fin qui tutto bene.

Il guaio comincia quando anche le rassegne stampa più professionali e più politiche, come quella famosa di Radioradicale (sempre ringraziamenti, a quella benemerita emittente) cominciano più a rimbecillirci che ad informarci. Non è che lo facciano apposta, certo. Giornalisti come Massimo Bordin o Marco Taradash meritano tutta la nostra stima. Anche perché, essendo all’occasione apertamente faziosi, ci offrono un prodotto onesto ed equilibrato. Purtroppo negli ultimi mesi, evidentemente non per colpa loro, gli amici di Radioradicale mi stanno facendo sentire un imbecille. Ecco ciò che avviene. Il giornalista di turno comincia a parlare di ciò che contengono i giornali. Parte dal primo e il mio cervello automatico reagisce con un secco: “Questo non m’interessa”. E stacca. Aspetto che si cambi articolo e, mentre il primo parlava di Di Maio, questo parla di Salvini. E il mio cervello, secco: “Questo non m’interessa”. E stacca. Poi riesco a sentire qualcos’altro, lo capisco, ma mi dico: “Che stupidaggine”. E stacco. Insomma il fatto è che, non raramente, dopo quasi un’ora e mezza di ascolto, mi accorgo di non avere capito niente. E non è essere imbecilli, questo?

Per legittima difesa, e per aggrapparmi a quel che resta della mia autostima, sono così costretto a dividere le mie sedici ore di veglia in quattordici ore e mezzo in cui sono una persona normale e un’ora e mezzo in cui sono un imbecille. Per giunta un imbecille con Schlechtes Gewissen, mala coscienza. Vuoi vedere che anch’io scrivo cose che fanno sentire il prossimo un po’ più imbecille di quanto non fosse quando ha cominciato a leggere le mie righe? Che l’imbecillità sia contagiosa?

Mi rimane solo la flebile speranza che il colpevole sia il maggiordomo. Intendo né io, il primo sospettato, né i giornalisti che si occupano della rassegna stampa, ma le vicende narrate. Se le beghe, le prese di posizione, le dichiarazioni, le promesse e persino le zuffe dei politici sono tanto noiose da intontirci, non potrebbero essere loro, i colpevoli? I francesi chiamano i fatti totalmente privi di senso “des histoires à dormir debout”, storie da farvi addormentare in piedi. Ora, se io ascolto la rassegna stampa a letto, posizione tanto più comoda, per dormire, è strano che finisca col distrarmi? È un miracolo quando non riprendo sonno, pur avendo già avuto la mia razione di sonno notturno.

Per esempio, riguardo al Tav sono arrivato alla tentazione di andare a Lourdes, se necessario su una sedia a rotelle, per implorare la grazia che non me ne parlino più. La facciano, non la facciano, buttino giù il governo o rilascino a Luigi Di Maio il diploma di “deliciae humani generis”, come a Tito, ma basta, per favore, basta. Come del resto ha detto il ministro Toninelli, “Che ci andiamo a fare, a Lione?” Precorso in questo atteggiamento dai giacobini che, volendo decapitare Lavoisier, a chi segnalava la grande qualità di quell’uomo, risposero : “La République n’a pas besoin de savants”, la Repubblica non ha bisogno di scienziati.

E forse io dovrei seguire questi grandi esempi. Forse dovrei non ascoltare più la rassegna stampa e interessarmi al Festival di Sanremo. Insomma, a cose serie. Tanto, se l’Italia crolla come un edificio fatiscente, farà abbastanza rumore perché ne sia informato.

giannipardo1@gmail.com

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