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Medicina
Epatite C dovuta a una trasfusione in ospedale, il Ministero paga dopo 50 anni

Di Gaetano Gorgoni

Tra gli anni ’60 e ’70 le trasfusioni infette negli ospedali del Salento non erano così rare: le sentenze di condanna del Ministero al risarcimento dei danni si affastellano, anno dopo anno. Molti salentini si sono ritrovati con l’epatite C a causa di una banale trasfusione effettuata in alcuni ospedali leccesi. Succedeva spesso anche alle neomamme che si ritrovavano ad affrontare parti non naturali: venivano sottoposte inconsapevolmente a trasfusione con sangue infetto. C’è chi ha dovuto attendere mezzo secolo per ottenere giustizia, ma la battaglia non è ancora finita: ora si procede per chiedere il riconoscimento del danno biologico. L’ultima storia balzata agli onori delle cronache riguarda una madre 33enne salentina che, nel giorno della nascita di suo figlio, si ritrovò malata di epatite C: una patologia che abbassa notevolmente la qualità della vita, perché il fegato viene colpito gravemente e si rischia la cirrosi o il cancro.

La storia risale al 1968 e ha già fatto il giro delle aule giudiziarie: si tratta di una emotrasfusione dovuta a un intervento chirurgico effettuato presso l’Ospedale San Giuseppe Sambiasi di Nardò ben 49 anni fa. Era per la precisione il 29 giugno del1968, quando una giovane donna 33enne di Porto Cesareo (all’epoca frazione di Nardò) al nono mese di gravidanza, viene ricoverata all’Ospedale di Nardò, dove i medici la sottopongono a parto distocico. È definito con questo termine il parto che non si svolge in maniera naturale e che a quei tempi veniva portato a termine dall’ostetrica facendo ricorso a particolari strumenti chirurgici e a ventose per estrarre il feto. Durante l’intervento chirurgico viene eseguita una trasfusione di sangue, a seguito della quale la giovane donna contrae l’epatite C. La malattia si è chiaramente manifestata solo molti anni dopo ed è recentemente stata portata all’attenzione dei giudici del Tribunale di Lecce.

La sentenza, passata anche al vaglio della Corte d’Appello ha riconosciuto che fu proprio la trasfusione, in quell’intervento chirurgico del giugno ’68 la causa del contagio. Il Ministero della Salute è stato condannato al pagamento dell’indennizzo speciale previsto dalla legge, liquidato alla donna circa 50 anni dopo i fatti. La battaglia, però, non è finita per la ormai anziana signora, assistita dallo Studio dell’avvocato Marcello Risi: ora è necessario che i giudici riconoscano il danno biologico. Si tratta di chiedere un risarcimento per la lesione dell’interesse all’integrità fisica che gli operatori di allora causarono alla paziente: una compromissione fisica che danneggiò irreversibilmente le sue attività vitali. Mezzo secolo è già passato: se non dovesse passare un’altra metà di secolo (con i tempi biblici della giustizia tutto può succedere!), è possibile che il finale di questa triste vicenda saremo noi a raccontarlo.

 

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